Tre sono state le cose che mi hanno fornito l'appiglio e lo stimolo per introdurre il propositivo post odierno.
La prima, da cui ho derivato anche il titolo, è una rubrica della rivista Consumatori che arriva mensilmente a casa dei soci Coop. Nella pagina loro dedicata, M. Cirri e F. Solibello raccolgono e raccontano piccole esperienze costruttive ideate e portate a compimento da persone semplici, da Italiani comuni: una volta lessi di un preside che, per ovviare alla disastrosa mancanza di fondi della sua scuola, aveva acquistato, con gli ultimi soldi rimasti, le macchinette del caffè e i distributori di merendine e, così facendo, aveva cominciato ad introiettare tutti i proventi che ne derivavano, arrivando non solo a coprire le spese dell'acquisto, ma anche a guadagnarci; qualche mese fa, invece, era stata la volta di un piccolo comune italiano che aveva varato un provvedimento per sistemare un'etichetta in terra sul luogo in cui le macchine venivano rimosse dal carro attrezzi, per indicare al proprietario l'avvenuta rimozione, il luogo di deposito e il numero da chiamare per le info; e così via. La trovo una pagina curiosa e interessante, in pieno stile un, due, tre, via.
La seconda cosa viene invece - clamorosamente - dalla tv e in particolare - meno clamorosamente, perché tutte le cose carine vengono da lì - da Rai tre: si tratta del servizio intitolato Persone che trasmettono ogni domenica dopo il Tg delle 12.00. Oggi hanno intervistato un disgraziato, ex-soccorritore in azione l'11 Settembre alle Torri Gemelle, che oggi vive in condizioni di miseria per essere stato espulso dagli USA, ma, soprattutto, hanno mostrato l'esistenza di un bellissimo progetto, a Milano, nato dalle rovine di un vecchio manicomio, in cui uno psichiatra e una clown hanno costruito un ostello, un teatro e un bar: vi lavorano persone con handicap psichici che, vivendo all'interno di questa sorta di 'villaggio', possono avere la possibilità di crearsi una vita, delle relazioni vere, costruirsi un piccolo patrimonio, senza però essere ghettizzati.
La terza cosa, dopo la stampa e la tv, viene infine dalla 'realtà' più concreta, ovvero da una persona che conosco dal vero: è un ragazzo che abita dalle mie parti, con la passione per l'impegno civile e la politica, che si candidò alle ultime elezioni amministrative (per la cronaca: è stato eletto in consiglio comunale con una caterva di voti) e che, in quella occasione, pubblicò sul suo blog alcune proposte concrete da attuare una volta eletto. Quello che mi colpì, soprattutto, non furono tanto le condivisibilissime idee, quanto piuttosto il sistema, concreto, per trovare i fondi per realizzarle, ovvero l'installazione di software open source nei computer dell'amministrazione comunale. Io non me ne intendo molto di gestione comunale, ma ho sempre trovato quest'idea - idea, che, tra l'altro, nella vita di tutti i giorni è messa in pratica da milioni di persone - davvero geniale, nella sua terribile 'banalità'.
Tutte e tre queste esperienze mi hanno fatto riflettere sulle possibilità che ciascuno di noi avrebbe, grazie all'impiego di un minimo di sale in zucca, per migliorare l'efficienza delle cose che ci stanno intorno; mi hanno fatto pensare, inoltre, a come molte attività potrebbero essere realizzare in modo molto migliore se a gestirle ci fosse qualcuno che di quelle attività realmente se ne intende.
Detto questo, io non lavoro in un consiglio comunale, non gestisco alcun ex-manicomio né amministro una scuola pubblica; però, vivo molto del mio tempo in Università, e dopo tanti anni li dentro avrei una considerazione da avanzare all'etere, pur nella triste e grigia consapevolezza che chi gestisce la suddetta Università non la metterà mai in pratica.
Sarò breve.
Le biblioteche dei vari dipartimenti universitari possiedono una ricca collezione di riviste di settore; l'abbonamento annuale ad esse oscilla intorno ai 400-500 euro. Se prendiamo come esempio la rivista di papirologia, epigrafia e filologia classica Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, comunemente (?) detta ZPE, e se si va a verificarne la presenza a Bologna tramite il catalogo nazionale dei periodici, si scopre che essa è presente nella biblioteca del Dipartimento di filologia classica, in quello di storia antica e in quello di scienze giuridiche, tutti posti a circa 20 metri l'uno dall'altro, nella zona universitaria. Ciò significa che l'Università di Bologna spende ogni anno come minimo 1200 euro quando potrebbe spenderne un terzo. Le riviste possedute da più dipartimenti sono decine e decine, forse centinaia. Io capisco che, in nome della tutela della cultura, sia bello avere tanti esemplari di prestigiose testate, ma, in tempi di crisi, dove non ci sono soldi per i ricercatori così come per la carta igienica, non sarebbe più proficuo ridurre gli abbonamenti e unificare i patrimoni librari dei mille dipartimenti bolognesi?
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