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mercoledì 18 settembre 2019

Elogio della lavagna

Sulla (sacrosanta) modernizzazione della scuola e di tutte le sue attrezzature tecnologiche molto è stato detto, scritto e pure gridato. Viva le LIM, quindi, e ben vengano i tablet, il registro elettronico, la de-materializzazione, le smart pen.
Ma non toccatemi la lavagna.

Nera, rigorosa, infrangibile, foriera di allergie.
Poco simpatica ad un primo pensiero, senza dubbio, ma preziosa come quasi null'altro sa esserlo tra le pareti di una scuola.

Poco fa, mentre tornavo da un secondo giorno filato liscio come ardesia, ho ripensato alla lavagna e ho trovato un motivo nuovo e diverso per volerle tantissimo bene, così tanto da annotarlo qui, per non scordarlo mai più.

Ma ripartiamo dall'inizio.

La prima volta che ho provato amore per la lavagna è stata voltandomi indietro, dopo aver fatto quei tre o quattro passi che separano la cattedra dall'ultima fila. Ti ho amato voltandomi indietro a guardarti - direbbe la mia tastiera se fosse quella di un poeta, e la frase potrebbe trovare uno spazio più che dignitoso stampata all'interno di una pellicola di baci Perugina. Quel giorno, voltandomi indietro a squadrarla, per la prima volta consapevole, mi sono innamorata della lavagna.

Portava scritte parole stratificate e accumulate nel tempo (un po' come il testo omerico e il cielo stellato sopra di noi), trapuntate lungo le due ore di lezione, e nel suo sghembo, polveroso e disordinato intrico stava nascosto il senso ultimo di quello spiegare, che neppure io avevo còlto nel profondo. C'erano dentro il mio carattere, la mia fretta, il mio entusiasmo e l'umore di quella mattina, tutti stretti e aggrovigliati nella grafia; c'erano le cose dette da loro, dagli studenti, impreviste guide verso la vetta; c'era il sentiero e c'era la méta, entrambi scavati nel buio del nero, a forza, fino alla bianca cima.
Come si può non amare ciò che in un colpo dà senso al tuo lavoro?

Ma oggi ho riflettuto di nuovo attentamente sulla lavagna e ho capito che c'è di più: che l'amore che le dobbiamo va ben al di là di noi singoli prof di quell'ora e copre come una coperta tutto il mondo della scuola, anche - e soprattutto - quello di cui le cronache parlano meno, e cioè il resto del mondo adulto.

Già alla fine dello scorso anno un collega - che anche solo in virtù di tale affermazione dovremmo ad onor del vero investire del titolo di amico - mi diceva che, entrando in classe dopo di me, si divertiva a leggere i brandelli delle mie (nostre) parole, e a tentare di agganciarci un filo, un chiodo, una rete, a cui si attaccassero, nell'ora a venire, anche le sue.
Quante volte abbiamo sentito parlare di interdisciplinarità? Ce n'è forse una più efficace di quella che la lavagna - paziente, nera, rigorosa - ci insegna ogni giorno se solo indietreggiamo di qualche passo per guardarla per bene?

Prima di oggi, ogni mattina, generalmente entravo in aula, appoggiavo lo zainetto e, per dare un attimo di respiro alla classe, le voltavo le spalle cancellando tutta la lavagna da cima a fondo. Aspettavo ancora un paio di secondi per captare qualche voce sopra il coro, per annusare i malumori e per prendere fiato, poi mi giravo e un due tre via cominciava la mia lezione.

Oggi, invece, entrando in una classe per la prima volta, tesa come sempre quando si squadrano una dopo l'altra venticinque facce nuove, ho cancellato malamente, tirando solo qualche riga veloce sopra ad ordinate divisioni in sillabe.
Ci ho anche scritto, poi, sulla lavagna e, nonostante fosse ancora il secondo giorno di scuola, a fianco di quelle sillabe separate hanno trovato spazio le cose da portare domani e qualche parola latina, scelta per presentarmi.

Scrivevo in mezzo a quegli squarci di nero lasciati liberi con gentilezza e, magicamente, non ero più sola.
Non ero più la sola adulta lì dentro. Non ero più la paladina del latino chiusa tra muti colleghi ostili; non ero più l'unica in grado di voler bene a quel mucchietto di spauriti pulcini usciti dal nido, quella che li capisce, la guerriera solitaria, l'impeccabile avvocato in un mondo di accuse.
Non ero più solo la prof di, ma ero d'improvviso anche la compagna di: ed il viaggio verso l'intervallo, come quello dalla cima di una montagna giù verso il mare, mi è parso all'improvviso molto più sereno.

Non cancellerò mai più del tutto la lavagna, da domani in avanti. I colleghi lavorano con la stessa argilla, sugli stessi banchi, impugnando ogni giorno gli stessi attrezzi; solo le loro mani sono diverse.
Meno male che c'è stata la lavagna a ricordarmelo.






(E poi, sempre grazie alla lavagna, dimostrano il loro quotidiano lavoro anche i bidelli, pulendola accuratamente dopo ogni giornata. Anche loro fanno parte della categoria scolastica degli altri adulti nella scuola, di cui troppo poco si parla, o troppo male. Ma questa è un'altra storia).


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