MOLTEPLICI INIZI.


A proposito di:

interculturalità - scuola - letture - frivolezze - risparmio - poesia - creatività - viaggi - pande - giardinaggio ... e bizzarrie varie.

domenica 10 ottobre 2010

Perché mi piace quello che faccio/2: Omero e Criminal Minds

Da un po' di tempo a questa parte mi sono appassionata ad una nuova serie tv americana: dopo Dr. House, è ora la volta di Criminal Minds, telefilm investigativo-noir dove un team ben assortito di esperti si occupa di rivelare colpevole, movente e dinamiche di efferati omicidi in tutti gli USA. Il team di CM fa parte della affascinante "Unità di analisi comportamentale" dell'FBI, che ragiona non sui comuni parametri investigativi, bensì sulla psicologia del cosiddetto S.I. (=soggetto ignoto), inquadrandone i caratteri, le manie, i problemi per riuscire così ad individuarlo o a prevederne le mosse. Scene comuni del telefilm sono per esempio quelle dei sopralluoghi sulle scene dei crimini, dove, ad esempio, dal trascinamento di un cadavere a lungo i protagonisti deducono che l'S.I. non aveva l'auto, oppure l'analisi della vittimologia, da cui si può capire, magari, che l'S.I. ha problemi di relazione con le donne mature.
Ma dove sto, esattamente, andando a parare? Ecco, ormai ci sono: quando sento i ragionamenti acuti dei personaggi, che deducono dallo status quo delle situazioni cosa ci sia stato dietro, di solito percepisco un che di familiare. All'inizio non riuscivo con precisione ad identificarlo, ma con il passare delle puntate ho lentamente capito cosa stava alla base di quel senso di familiarità: faccio anche io lo stesso mestiere.
No, non sono un membro dell'F.B.I. sotto copertura, e nemmeno del K.G.B., ma più semplicemente (?) una studiosa di Omero.
E qui comincia la mia lezioncina sull'epica omerica (chi se la volesse risparmiare potrà allegramente saltare alle conclusioni, non gliene vorrò...oddio, solo un pochino). Molti di voi pensano forse che Omero sia stato un autore come tanti e che abbia scritto fisicamente due lunghi racconti intitolati Iliade e Odissea, ma non è così. Iliade e Odissea sono semplicemente il risultato progressivo di un'operazione di stratificazione e aggiornamento di canti di tradizione orale che venivano recitati (si pensa a piccoli brani, lunghi al massimo come un singolo libro di Il. o Od.) di fronte a uditori riuniti per feste cittadine, o in corti regali, o per riunioni panelleniche in occasioni di gare sportive. I cantori - stando a quello che gli stessi poemi omerici raccontano - selezionavano dal loro bagaglio di storie quelle che potevano più piacere a quel pubblico, un po' come i bardi medievali di cui abbiamo un vago ricordo dalle scuole superiori. Ad un certo punto, lentamente, si fece strada - forse - l'idea di cominciare ad organizzare in modo più stabile quell'ampissimo patrimonio di storie, e furono selezionate due linee narrative, quelle che per quel momento dovevano sembrare più adatte ad una Grecia che si andava formando nella sua coscienza "nazionale", ovvero la spedizione dei Greci federati (appunto!) contro Troia e il ritorno di un eroe per mare. Furono eliminati tutti quei riferimenti specifici che venivano compresi solo da ristrette comunità, fu per così dire "scremata" la tradizione e gli episodi furono messi uno dopo l'altro a formare una catena di racconti e un poema monumentale. Chi fece tutto questo? Non si sa, ma visto il ruolo che l'antichità attribuì al nome di Omero, è possibile che una qualche scuola di cantori che aveva a che fare con tale nome abbia avuto un ruolo maggiore delle altre.
Il testo omerico è stato definito, magistralmente, un "testo tradizionale", ovvero un testo che, per la sua valenza di punto di riferimento di una società, viene continuamente aggiornato per essere mantenuto coerente con quella società che, col tempo, naturalmente evolve: il risultato di un simile processo (che, comunque, ad un certo punto si sarà interrotto provocandone il "congelamento" e la sua definitiva trasformazione in testo scritto stabile) è che Iliade e Odissea sono testi STRATIFICATI, che mantengono in loro frammenti di storia, civiltà, usi, norme molto molto antiche, a fianco delle quali sono state aggiornate altre cose, che quella società sentiva come obsolete e riteneva necessario modificare.
Esempi, così, tra i tanti: nell'Iliade si combatte sia con armi molto antiche come l'arco, sia con armi più moderne, sia addirittura, in certi passi, con la falange oplitica, invenzione "tarda", di VI secolo;
in tutti i canti la restituzione del corpo del nemico ucciso non è atto dovuto, mentre nell'ultimo canto sembra di capire che Achille sia in qualche modo tenuto a rendere Ettore morto a Priamo: forse quando si "attaccò" l'ultimo, cruciale, canto all'Iliade si sentì la necessità di aggiornare questa credenza perché ormai la si riteneva troppo "barbarica"... e via dicendo.
E cosa faccio io in tutto questo marasma (io, banalmente, mentre altre centinaia di ricercatori nel mondo certo con maggiore finezza)? Cerco, appunto, di assegnare - nello spazio limitato di un canto, nel mio caso, l'XI dell'Odissea - ogni immagine, espressione, personaggio, storia mitica, al suo "strato" di formazione; cerco di capire perché quel frammento è entrato e perché un altro, per esempio, manca; cerco di immaginarmi cosa dovesse dire quel pezzo a chi se lo sentiva cantare: che effetto faceva? che idee comunicava?... insomma, anche io, piccola F.B.I. dell'epica arcaica, parto da uno status quo testuale che contiene in sé miriadi di informazioni, cerco di discernerle le une dalle altre, e, infine, di capire che cosa sta dietro a quel quadro.
..Non vi ho reso la mia attività dottorale un pizzico più eccitante?
Bhe, quanto meno, ci ho provato, apprezzato lo sforzo. E comunque, per la cronaca, mi piacerebbe tanto leggere le "volgarizzazioni" con suspence delle altre discipline specialistiche: che cosa fanno, detto in parole povere, i ricercatori di matematica? e quelli di storia medievale? e quelli di chimica molecolare? Le audizioni sono aperte. Che la ricerca si divulghi!

4 commenti:

  1. Il mio S.I. era un tizio che qualche secolo fa si è trovato in mano un testo quasi inintelligibile, quello di Eschilo, e un sacco di correzioni che lo rendevano, secondo lui, più accessibile. Queste correzioni non le aveva pensate lui, ma altri studiosi molto fighi e famosi. E lui le ha pubblicate, facendo un gran favore all'umanità, almeno a quella piccola porzione di essa che si occupa di Eschilo. Pubblicandole, però, ha spesso omesso di dire che erano sue. Ops. E quindi, tutti hanno tacciato il mio S.I. di essere un ladro.
    Ecco, io lavoro per mostrare il modus operandi del mio S.I., e per scagionarlo da queste infamanti accuse. Insomma, Cold Case - altra famosa serie televisiva che ti consiglio - applicato alla filologia.

    RispondiElimina
  2. emendamento d'autrice: "ha spesso omesso di dire che erano sue"

    sorry

    RispondiElimina
  3. Non mi ricordo dove lo lessi, ma la cosa suonava così. Che lavoro fa un matematico?
    1 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    2 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    3 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    4 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    5 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    6 giorno: tentato di dimostrare il teorema X
    7 giorno: il teorema era falso.

    Ma parlo di me, che è meglio. Il sistemista invece dovrà scoprire perché il software X si installa nel computer del vicino e non nel proprio. L'errore visualizzato è fuorviante, gli aiuti on line inutili, le differenze fra i due pc consistenti, le prove fatte per risolvere il problema saranno inutili e frustranti. Poi un giorno l'INTUIZIONE. Quell'idea che non sta in nessun manuale, eppure risolve tutto. Ora il software X gira anche sul mio pc! :-)

    (Em... non sempre finisce bene la storia, ci sono teoremi ancora indimostrati e problemi informatici irrisolti.)

    RispondiElimina
  4. Κασεάκυλοι13 ottobre 2010 alle ore 18:29

    E cosa faccio io? In un'isola sperduta nel Mediterraneo visse una donna che è nota al mondo per pratiche sessuali sconvenienti con giovani ragazze in età prematrimoniale. Sì, sto parlando di quella lesbicona di Saffo, che passava le sue giornate – per qualcuno – a fare l'amore e ad intrecciare corone di rose oppure – per altri – a curare l'educazione di ragazze d'estrazione nobile. Direte voi, due lavori non proprio comparabili!

    Beh, io cerco di rendere facilmente comprensibile a tutti che, in realtà, Saffo era un membro di un gruppo di compagne – alcune giovani, altre della sua stessa età – le quali stavano assieme perché così la società di Lesbo aveva organizzato la vita delle persone, sia donne che uomini. Né prostitute né sante! Come arrivo a tali conclusioni? Frugando continuamente fra le lettere che rari e bucherellati papiri ci hanno restituito, una infima porzione di una produzione che, nella tradizione occidentale, è il modello e, forse, l'apice della poesia erotica.

    E a che serve 'sto lavoro da matti? A capire società imperniate su modelli strutturali diversi da quello europeo degli ultimi due secoli: se capisco la diversità – e la rispetto – di chi considero un mio caro antenato, forse comprenderò meglio il diverso che vive, oggi, accanto a me e che, spesso, è disprezzato.

    RispondiElimina