Quando sono arrivata alla Maison, dopo numero tre ore e trenta di ritardo ferroviario, in uno stato pietoso dovuto all'assenza di sonno-cibo-spazzolinodadenti-caffè-sapone-acqua, munita di numero tre valigie una più mastodontica dell'altra, ho incrociato, all'ingresso, una biondeggiante, nuda, slanciata vicina di stanza che si recava nel cortile a fumare. Mentre io mi accordavo con la segretaria, la gnocca locale finiva la sua sigaretta e decideva, sua sponte, di venirmi a cercare per aiutarmi a portare al quarto piano le mie valigie. Al momento di salutarci, lo scambio dei nomi e delle provenienze. Lei era belga.
L'altro giorno ho deciso, finalmente, di acquistare un adeguato porta chiavi per le chiavi di casa di qui. Mi sono dunque recata presso uno degli onnipresenti bazar, all'interno del quale ho trovato l'allegra famigliola indiana dei proprietari intenta in una merenda a base di the e cookies (j'adore); la prima cosa che mi hanno detto, dopo il bonjour di rito, è stata: vuole un po' di biscotti con il the??? Io, candidamente, ho rifiutato, e ho posto sul banco il mio portachiavi parigino (costo: 95 cents). L'indiano-padre esce dal locale, si dirige verso il luogo da cui avevo prelevato il portachiavi, ne sfila un altro (nota di finezza: di un altro colore) e lo pone vicino al mio dicendo: per 1 euro prendine pure due.
Al LIDL, pochi giorni fa, mi trovavo in coda immersa nel consueto casino che generano le file alla cassa in questo genere di negozi a brezzi stracciati. Arrivato il mio turno, poiché dovevo comprare solo una scatola di pelati, che mi sembrava di aver capito costasse 34 cents, mi metto in attento ascolto di ciò che pronuncia la cassiera, ma, un po' per il mio cattivo rapporto con i numeri francesi (che poi, a dirla tutta, non è poi solo mio: a qualcuno di voi sembra forse normale che novanta si dica quattro volte venti più dieci e settanta sessanta più dieci????) e un po' per l'accento orientale della cassiera, non capisco ovviamente che numero mi dice. Allora opto per la solita strategia non-verbale, le metto in mano i miei 34 centesimini e le dico ça va? (nota esplicativa: ça va significa va bene? ma è anche usato, anzi, soprattutto usato, per chiedere a qualcuno come va?... ). E lei, nonostante la folla opprimente in coda, il casino pazzesco, il caldo umido, e -presumo- le ore di lavoro alle spalle, mi dice, semi-seria, moi ça va, et vous?! E ci facciamo una risatina insieme.
Tornando dalla biblioteca, ieri, stavo mangiando il mio iaùrt (come dicono qui) per evitare di stramazzare al suolo colta da attacchi di fame isterici, ma poiché la giornata in biblioteca mi aveva stremato soprattutto dal punto di vista nervoso, mi sono bellamente sbrodolata una (buona) parte dello yogurt sul cappotto scuro. A quel punto mi sono fermata, ho fatto un gesto di disappunto, il quale è stato notato da un passante di colore, il quale si è girato e, sorridendo, mi ha detto: oh no! non bisogna macchiarsi!! A quel punto, con tutto il candore del mondo, ha estratto un fazzoletto sporco dalla sua tasca e me lo ha offerto per pulirmi. Sì, lo s, era sporco, occhei, ma che potevo fà? L'ho accettato con un sorriso, lui era contento e ci siamo salutati con calore.
Quattro esempi di calore umano parigino. Come dite? - non capisco bene - ah, dite che nessuno di questi strambi tizi era francese doc? ah, sì, è vero.
E poi si dice che l'immigrazione porta solo guai.
Bellissimo post!!!
RispondiEliminaEhi, ma io mi aspetto di trovarti su "L'inconnu du métro"...
RispondiEliminaeh bhe, arriverò presto anche li...però le mie sortite nella metro sono più rare, ora: sono un'affezionata della RER e presto diventerò anche..rullo di tamburi... un'abbonata VELIB!!! Non ci facciamo mancare niente!!!
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