Sì, succede spesso quando si sta da soli per tanto tempo, specie se gran parte di quel tempo lo si trascorre in codesto luogo, dove le uniche amenità sono rappresentate dalle avventurose ricerche delle collocazioni dei libri, dai sorrisi scambiati con i bibliotecari (rigorosamente tunisini: ecco spiegato perché sorridono), e dall'osservazione antropologica della fauna normaliana quivi riunita, con il risultato che si comincia a non credere più tanto in Darwin né tantomeno nei test selettivi per l'ingresso all'università. Sì, succede spesso: succede spesso che ci immalinconisce (almeno finché un qualche simpatico blogger non ti fa questo inaspettato regalo).
Oggi, per l'appunto, mi è capitato di sfogliare questo blog, che conoscevo già, ma male, e di trovarvi una recensione al suo libro, che prova a raccontare per iscritto e in forma di storie/dialoghi la matematica. Ecco, tutto qua, e d'un tratto, mi sono immalinconita.
Perché a me, la matematica, piaceva da impazzire, al liceo (n.b. ho fatto un liceo classico a sperimentazione matematica, sempre sia lodato). Il mio sogno, formatosi definitivamente a partire dal penultimo anno di scuola, era infatti quello, innanzitutto, di insegnare, e poi, quanto al cosa, o la matematica, o il greco-latino.
Ricordo ancora benissimo, lo sento sulla pelle, quel brivido di sfida e quell'emozione frenetica al leggere le consegne di un compito in classe, o anche solo di un problema per casa: quello scorrere le righe, per poi tornare indietro, assaporare ogni dato, ogni numero, ogni indicazione, per non perdere nulla, e poi provare già ad avanzare un'idea, ma forse no, non si fa così, ma allora così... e..zac! Partire, zaino in spalla, percorrere tutte le tappe della risoluzione, scrivendo in grande i numeri sul foglio protocollo, così in grande che me ne serviva poi sempre almeno un secondo, o terzo, da chiedere ai compagni, per avere lo spazio per terminare l'esercizio e alla fine, non ci vuoi sperare fino in fondo, ci sei quasi, ma non ti fidi e poi, voilà, arriva il risultato, che è perfetto, intero, si staglia maestoso, si sussurra ce l'hai fatta, vedrai, sono quello giusto.
Ricordo, e non potrò mai dimenticare, il mio Professore dei cinque anni: e, non chiedetemi perché, quando ho cominciato a leggere lui, dal primo momento, me lo sono immaginato come il mio Prof. di matematica. Sarà perché entrambi raccontavano della propria figlia, sarà quella maniera epigrafica e buffa di stilizzare le cose, boh. Fatto sta, che il Comiziante, nella mia testa, ha la faccia del Prof. Betti. La pelata, due baffetti ispidi, l'andatura ondeggiante, la voce profonda e un po' nasale.
Il Prof. Betti, ad ogni modo, io non lo potrò mai scordare: e non credo di risultare banale o stucchevole nell'affermarvi che è stato il miglior insegnante che io abbia mai avuto. Non tutti i miei compagni la penseranno così, lo so, ma per me è stato un idillio totale. Ed è sicuramente grazie a lui, che coltivai così ardentemente la passione per la matematica. Ed è a lui che va il mio pensiero, quando ritorno con il ricordo alla frenesia di me sul banco, in attesa di conoscere la soluzione di uno studio di funzione, o all'emozione di ricevere un compito intonso post-correzione, o anche alla rabbia di non riuscire a risolvere un esercizio a casa, sbattendo forte i pugni sul tavolo e facendomi venire i lividi. Le sue lezioni, io me le bevevo come acqua. E la cosa più bella, della matematica appunto, è che una lezione di matematica non te la puoi bere come te ne berresti una di storia: ci sono sempre degli ostacoli, dei nodi. A metà bicchiere, quando credi che in una sorsata finirai presto il tutto, ti va necessariamente di traverso qualcosa, e allora ti tocca sputare, imprecare, chiedere di ripetere, bere a piccoli sorsi, finché, solo dopo un'ora di totale dedizione, riesci forse ad appoggiare sul banco il bicchiere vuoto.
Bhe, insomma, per farla breve, è a tutto questo che ho ripensato nel leggere il blog di Mau e del libro ivi pubblicizzato. Ci ho ripensato, per un attimo mi sono fatta investire dai ricordi, ed il risultato è che ho preso tristemente atto che di tutte quelle conoscenze, di tutte quelle lezioni avidamente assorbite, di tutti quei pomeriggi di studio esaltato, oggi non è rimasto niente. Non ricordo più nulla, a mala pena so svolgere una proporzione, nulla mi resta in testa quel tanto da poter capire un libro sulla matematica. Alla fine del liceo scelsi di iscrivermi a Lettere classiche, e ora sono qua, con un dottorato che mi porterà a poco, con un futuro di insegnante più che nebuloso, e nemmeno il minimo barlume di ricordi su come funzioni un logaritmo.
E' in questi momenti che ti viene voglia di pronunciarla, quella frase terribile e totalizzante, se tornassi indietro, probabilmente non lo rifarei. E' vero? Davvero non mi ri-iscriverei a lettere? Chissà, forse insegnare le materie scientifiche è più agevole, oggi come oggi: professori di matematica ce ne sono sempre meno, contrariamente a quelli di lettere che vengono su come funghi. Dove sarei adesso? In una classe di liceo?
Va bhe, la pianto di ammorbarvi tutti con questi malinconici pensieri passatisti. Il passato è passato, ormai; alla matematica ho detto addio. Mi restano in mano questi polverosi, epici, contorti versi omerici. Dedichiamoci a loro.
Cara Tinni,
RispondiEliminati capisco moltissimo. Ti capisco, perché anche io ho amato la matematica con la stessa intensità del greco e del latino (la matematica, l’astronomia e la termodinamica!): ricordo benissimo l’emozione del numero tondo nel risultato finale, le gare con i compagni, i pomeriggi passati a fare esercizi oltre il dovuto. Lo dico con grande orgoglio: avevo 9 in matematica, 8 in greco. Eppure non è rimasto niente: talmente NIENTE, che quando mia sorella mi chiede di aiutarla con i problemi, io non so mai da dove cominciare. Poi, però, vado a rivedere il libro di testo, qualcosa mi riaffiora alla mente e rimango lì, fissa su quell’esercizio, quasi folle, finché non trovo la risoluzione. E il piacere dopo è immenso. Non c’è, infondo, troppa differenza tra la matematica e il greco. Solo il greco, a volte, può essere meno rassicurante: i numeri, nel greco, non sono quasi mai interi, ma hanno le virgole, i decimali, le radici quadrate e cubiche. Sarà per questo che, di tutta la grammatica greca, l’unico capitolo che non ho mai studiato è quello dei numeri?! C’è sempre una scelta alla base di tutto quello che facciamo e gli scarti, a volte, sono duri da sopportare: solo Leonardo da Vinci si poteva permettere di non scartare nulla e mai. Non a caso è uno dei tuoi beniamini, o sbaglio? Eppure, sono fermamente convinta, che la matematica, come tutte le altre cose che hanno acceso e animato il tuo cuore, Tinni, rimarrà con te per sempre: magari non in forma di esercizio da svolgere, ma in forma di pensiero e creatività. Perché sì, la matematica, come il greco, è tanta grammatica, ma anche tanta creatività.
Σελάννα
Spero che tu legga questa rivista:
RispondiEliminahttp://www.rudimathematici.com/archivio/archiviodb.php
Se non lo hai mai fatto, provaci. Anche senza sapere nulla di matematica, le prime pagine sono godibilissime e in alcuni numeri ci sono veri capolavori.