Ho molto amato il post del Disagiato sulla famiglia indiana e sul loro camion ingombrante.
L'ho amato e apprezzato e diffuso, ma pur facendo ciò me ne sono rimasta comunque seduta qui, nella silenziosa e ordinata e nordicamente organizzata biblioteca della Normale. Ho pensato tanto, in questi mesi, all'immigrazione e alla multiculturalità e all'accoglienza e a tutte queste belle parole che campeggiano fieramente in prima fila tra i temi e le etichette di questo blog, ma, finora, l'ho sempre fatto da una casa confortevole ed isolata, da una scrivania e da una camera insonorizzate, da una stanza con le finestre chiuse e i doppi vetri. Ho ammirato e celebrato quello che i miei genitori fanno - aggratis - per aiutare l'alfabetizzazione degli immigrati del nord Africa, specie nelle sue categorie più deboli e marginalizzate, ovvero quelle delle donne e dei bambini; ho pubblicizzato il blog di Costanza, che ha mollato il greco antico per partire in Bukina Faso e per toccare con mano il senso di un aiuto concreto. Ho fatto tutto ciò e sono fiera di averlo fatto, ma, fino a quattro giorni fa, tutto ciò era stato pura parola, pensiero astratto, vuota opinione.
E poi, d'improvviso, quattro giorni fa, è arrivato, nello studio accanto al mio, all'interno della Maison d'Italie della Città Universitaria di Parigi, un nuovo vicino.
Un nuovo vicino che parla il francese con quell'inconfondibile accento aspirato e tagliente che hanno gli abitanti del Maghreb; un nuovo vicino tunisino, o marocchino, o algerino, non lo so; un nuovo vicino diverso.
Perché, ve lo ricordate, vero, che tipo è Tinni? Ve lo ricordate che ama addormentarsi alle 22.30, svegliarsi presto, adora il silenzio, lo yoga e che è dannatamente nordica?
Inutile raccontare come vive e come si organizza il nuovo Vicino-di-Tinni: non fa nulla di sconveniente, nulla di vietato, nulla di ledente la sua privacy; semplicemente, vive. Ma il suo stile di vita è del tutto diverso dal suo.
La mia permanenza qui, al suo fianco, è ancora lunga, come è ancora lunghissima la strada da fare perché tutte quelle belle parole sull'accoglienza, l'accettazione del diverso, la ricchezza dell'immigrazione, l'amore per il prossimo, il buon samaritano, l'un due tre via eccetera eccetera, diventino, per Tinni, una realtà. Però mi piacerebbe provare a condividere con voi e a registrare passo a passo questa storia, con le sue lente e tortuose evoluzioni, se mai ce ne saranno, con le sue ricadute, che saranno numerose, con i propositi e gli istinti omicidi. Vi va di ascoltarmi, di rimproverarmi, di incoraggiarmi e di prendervi in saccoccia tutte le mie paranoie e lamentele?
Qualche annotazione così per cominciare:
Giorno 1 (la conta inizia oggi): il Vicino, in giorni ancora non ben definibili (seguiranno approfondite indagini ebdomadarie), si sveglia alle 5 di mattina presumo per andare a svolgere una qualche mansione lavorativa di fatica. Peccato che la fatica la condivida anche con me, visto che il suo risveglio è accompagnato da copiosi, innumerevoli, fraudolenti, frammentari, sorprendenti, caotici rumori di ogni origine e natura, tra i quali spicca la capacità - innata, io credo - di Vicino di lasciar sbattere tutti i possibili cassetti e ante e sportelli in un tripudio di tonfi.
Io, però, stimo il mio Vicino perché, pur essendo con tutta probabilità un ricercatore o un dottorando, lavora per mantenersi e, a differenza di Tinni, sa cosa vuol dire fare fatica. (vi convinco?!?)
non prendertela, credo che lo sbattere di cassetti e ante sia tipico del genere maschile, a qualsiasi latitudine.
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RispondiEliminaPuoi sempre dirgli di fare le cose con più delicatezza. Fallo, prima che alle cinque di mattina si metta a potare le piante con una sega elettrica.
RispondiEliminaNon c'è rapporto di vicinato che non si possa aggiustare con la premiatissima accoppiata dialogo+tappi per le orecchie.
RispondiEliminaFaccio una domanda cattivella: ma avresti tanto riguardo a manifestargli il tuo disagio, se fosse italiano/spagnolo/americano/francese, e non una persona di una provenienza culturale diversa, non europea? Insomma, anche dire a qualcuno le cose come stanno, con gentile fermezza (si tratti di un cassetto sbattuto ad un'ora improba o di un camion malamente parcheggiato), fa parte dell'accettazione e dell'integrazione.
RispondiEliminaPoi, è il primo giorno, magari non è ancora abituato all'ambiente, o non ha realizzato quanto siano sottili i muri della CitéU...
Ecco, sì, mi associo a Ipazia. Se fosse nato e cresciuto nella tua stessa città, cambierebbe qualcosa dei tuoi fastidi? Facci sapere come va a finire.
RispondiEliminailcomizietto