Un'altra piccola, grande emozione che ti regala un soggiorno all'estero è quella delle nuove amicizie. Certo, lo sappiamo tutti che, nonostante promesse e scambi di contatti, pur avendo condiviso belle esperienze ed essere magari diventati per un periodo inseparabili, quando poi ciascuno ritorna nel proprio mondo reale, la stragrande maggioranza delle amicizie strette all'estero si scioglie come neve al sole.
Ma non è infatti di amicizie per la vita che voglio parlare oggi. Quelle restano a Bologna, costruite giorno dopo giorno come un grande e complesso formicaio (a tal proposito mi permetterei, con la vostra compiacenza, di pubblicizzare l'arrivo nella blogosfera di una Pensatrice di caratura notevole che sono certa saprà regalarci grandi perle-pop); quello di cui vorrei rendervi partecipe è invece il sentimento e il brivido che accompagnano le primissime tappe della nascita di un'amicizia, tappe che, anche se quella persona non sarà mai più con noi, difficilmente ci scorderemo per il resto della nostra vita.
Sto parlando di quell'attimo preciso in cui, grazie ad un gesto, una parola, una sorpresa, un'attesa, improvvisamente ti rendi conto che quella persona è per te qualcosa, un qualcosa di minuscolo e impercettibile, un qualcosa di più che un nome memorizzato in un cassettino del cervello, un qualcosa che assomiglia ad un amico.
L'anno scorso, a Parigi, vivevo in un foyer di studenti; ogni sera ci si ritrovava insieme nella sporca e variopinta cucina comune per preparare ciascuno il proprio pasto e scambiare qualche parola in uno - per me - stentato francese comunitario. Il primo mese passò, per me, nel disperato tentativo di ricordare i nomi di tutti, di comprendere a quali persone era meglio mi sedessi a fianco sulla base della loro capacità di articolare nitidamente le parole del francese (suggerimento per toujours: evitare i francesi del nord), di far correre i criceti del mio cervello il più in fretta possibile in modo da afferrare il senso almeno del 40 per cento delle battute e così via. In tutto questo tempo ero stata così presa dalle suddette attività che non mi ero accorta che, in fondo, anche i ragazzi del foyer avevano cominciato a conoscermi, a capirmi, a trovarmi anche un po' simpatica.
E poi ci fu la settimana a casa. Sono sempre i ritorni a farti sentire il senso di appartenenza. Tornai per una settimana a casa - forse mi ero dimenticata di avvisare i ragazzi - e, la sera del mio ritorno, scesi in cucina qualche minuto in ritardo rispetto ai miei tempi. Trovai due persone sedute ad un tavolo che, non appena mi videro, esclamarono con un inaspettato calore ed eccoti qui, alla fine! dov'eri finita??
Zac, era successo. Un tuffo al cuore, un sorriso scoppiato. Ero parte di qualcosa, ero la loro compagna di cene.
La stessa cosa (prima di partire, quest'anno, non credevo che anche il secondo soggiorno a Parigi sarebbe stato altrettanto ricco di volti da ricordare, e dunque la gioia è stata ancora più bella, perché inattesa) mi è capitata pochi giorni fa, con Mary.
Quest'anno alloggio all'interno della Cité Universitaire, un enorme campus dove, oltre agli alloggi, vengono organizzate anche una miriade di attività fanstamagoriche che farebbero passare la voglia di studiare pure a Rita Levi Montalcini e, nella fattispecie, è attiva una corale di musica classica (accompagnata da un'orchestra), alla quale io mi sono prontamente aggregata, dopo aver scoperto, alla veneranda età di ventisette anni, che la cosa che amo di più al mondo fare non è né tradurre greco né leggere libri, bensì cantare in coro.
(giusto per darvi un assaggio della mia eccitazione, qui uno dei brani che cantiamo: forse capirete come mai, il lunedì sera, Vicino o non Vicino, io non riesca MAI a prendere sonno)
E' proprio alla prima seduta di corale che conosco Mary, inglese fino al midollo, sorridente ma riservata, la quale ha la gran fortuna di capitare seduta accanto a me e, dunque, di sorbirsi le mille domande che le pongo sui brani, sugli spartiti, sulle note (nonstante abbia appena scoperto la mia vera vocazione, infatti, non ho ancora avuto tempo di imparare a leggere la musica, per cui vado a occhio: quando il pallino nero sale, io salgo. Metodo della più comprovata attendibilità scientifico-armonica, peraltro) e, alla fine della serata, di vedersi scritto sul suo spartito il mio indirizzo e-mail con la preghiera di inviarmi dei link musicali con le diverse parti del coro quanto prima.
Detto fra noi, proprio non pensavo che Mary mi scrivesse e si ricordasse di me, se non per il fatto che avevo rappresentato una italica scocciatura durante tutte le prove. E invece, il giorno successivo, eccomi le due mail promesse con tanto di britishissimo Best wishes finale.
Riflettendo sul fatto che le prove del lunedì sera sono alle 8, e che il tempo per prapararsi la cena prima è un po' strettino, medito durante la settimana che segue di provare la mensa della Cité al posto della cena chez moi, prima della corale. Prendo questa decisione e poi, qualche giorno prima del lunedì in questione, mi dico: ma perché non buttarsi e non invitare Mary a cenare con me? E' vero che non la conosco, ma ho il suo indirizzo e-mail e, in fondo, lei se non vuole venire può sempre inventare una scusa qualunque. E così ci provo; le scrivo una lettera invitandola e, senza aspettarmi gran ché, poche ore dopo ricevo un'entusiastica (benché sempre british) risposta affermativa. Ore 7.20, davanti alla mensa. E' fatta, i primi passi si muovono.
La cena si dimostra piacevole: entrambe siamo scarselle in francese, facciamo un po' di esercizio, parliamo del tempo e dello studio, della Francia e dei nostri paesi natali. Gradevole.
Tanto gradevole che io, la settimana successiva, ritorno all'attacco; nuova mail, nuovo invito, nuova risposta affermativa. La cosa comincia a farsi abitudinaria.
Passiamo insieme così in totale tre cene: nulla di ché, beninteso; una mezz'oretta di scambio linguistico, una manciata di sorrisi, qualche silenzio.
E poi arriva questo lunedì. In mezzo c'era stata la pausa pasquale, dunque non vedevo Mary da due settimane (era rientrata a York). Le avevo scritto una mail con la consueta proposta, e lei aveva risposto, comme d'habitude, con il suo semplice si. Vado all'appuntamento pensando ad altro, con la testa altrove; mi metto in attesa e i minuti cominciano a passare. Tic, tac, e la puntualissima Mary non si vede. I pensieri precedenti vengono scalzati via, mi comincio a preoccupare. Forse avrei dovuto rispondere alla sua ultima e-mail con un'ulteriore conferma - mi dico. Si, vedrai, sarà andata così: lei non mi avrà più sentito e avrà deciso di non venire, pensando che mi fossi scordata. Inizio a camminare su e giù per l'atrio, scruto ogni passante che si avvicina. Che scema, mi ripeto, ecco, ora mangerai da sola. Uffa.
Passano dieci minuti, io sto per andarmene, quando, in fondo al cortile, ecco apparire Mary: eccola, con la sua camicetta da ragazza inglese, a quadri, il suo passo affrettato ma mai scomposto, il suo visto diafano, il capello a media lunghezza, sempre curato ma non troppo. E' lei, britannicamente lei, gioiosamente lei. Scusa il ritardo, sono mortificata, è tutta colpa del mio ragazzo! mi dice arrivando da me.
E io la scuso subito, perché ho appena scoperto che ho una nuova amica.
Piango.
RispondiEliminaè proprio vero che i primi passi che si compiono per guadagnarsi un'amicizia sono in assoluto i più belli, quando nella totale incertezza di un rapporto cominciano ad arrivare quelle piccole conferme che ci fanno sentire 'amati'.
E a chi ti dirà, al momento dell'addio, cosa c'hai guadagnato a procacciarti un'amicizia destinata a morire, potrai sempre rispondere come fece la volpe al Piccolo Principe: "il colore del grano". :)
In effetti, volevo citarlo, il Piccolo Principe, ma poi avevo già scritto tanto e così sono contenta che l'abbia fatto tu. Io, per esempio, mi ricordo ancora di quando, in un lontano passato, ti ho taggato nella foto dello Slow Loris...:))
RispondiEliminaSono gelosa.
RispondiEliminaamica! ma non devi esserlo!!!!
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