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giovedì 21 luglio 2011

Acqua

Ieri pomeriggio ho detto a mio padre ho voglia di bagnare i piedi nell'acqua di un torrente. Anzi no, non ho detto bagnare, ho detto pucciare, che è una parola un po' dialettale un po' del nostro lessico di famiglia e fa tanto 'casa'. Ho detto a mio padre ho voglia di pucciare un po' i piedi nell'acqua, dove posso andare?


E allora mio padre ha mollato quel che stava facendo, mi ha caricato sulla nostra macchina sporca e ripiena di attrezzi e mi ha risposto ti porto in un posto segreto, speciale. Ha guidato per più di venti minuti nelle stradine di campagna intorno al paese, ci abbiamo mezzo rimesso uno specchietto e ci siamo impolverati fino all'osso perché ben presto le stradine si fanno bianche e a noi chiudere i finestrini con l'aria condizionata proprio non ci piace; mio padre guidava e noi ci guardavamo intorno e c'era una luce di taglio, tutta speciale, con l'aria più limpida del solito, che sapeva ancora un poco di bagnato dalla sera prima, e noi respiravamo quell'aria e continuavamo a ripetere sempre la stessa frase colline così non hanno nulla da invidiare alla Toscana. Lo ripetevamo ogni cinque minuti, come un mantra, che diventava sempre più vero più passava il tempo e più entrava polvere nell'abitacolo.

Poi, dopo venti minuti di guida, mio padre ha fermato la macchina e mi ha guidato alla scoperta di questo posto magico, speciale.
Un fazzoletto di bosco e di sassi, immerso in un silenzio assordante di cicale e di vento: la sorgente del torrente Guerro, il rigagnolo impacciato che scorre per Castelvetro.
Ma i torrenti, si sa, si chiamano così proprio perché non sono sempre attivi, non fluiscono sempre, estate ed inverno, come un impetuoso'fiume vero'. E così è anche per il Guerro: le sue sorgenti, ieri pomeriggio, erano soltanto un letto di sassi abbaglianti e caldi, e quel gorgoglio d'acqua che credevamo di aver sentito appena usciti dalla macchina non era altro che il movimento impertinente delle foglie degli alberi.
Era rimasta solo una pozza; una densissima, scura, melmosa pozza d'acqua, piena zeppa di pesci in sovrannumero peggio che in una piscina di Tokyo, che si restringeva quasi a vista d'occhio ma che ancora resisteva, strenuamente, contro il caldo secco del 20 di luglio.
E così io e mio padre siamo rimasti, è proprio il caso di dirlo, a bocca asciutta. Stavamo lì in piedi a soppesare il nostro peso sui sassi caldi ed abbaglianti, ci guardavamo intorno un po' spaesati e, dopo qualche minuto, abbiamo deciso di rimetterci in macchina.

Ci siamo rimessi in macchina e abbiamo ridisceso la collina che non ha nulla da invidiare alla Toscana, abbiamo respirato nuovamente la polvere, annusato nuovamente gli odori di stalla e di erba e di terra, e poi, ad un certo punto, quando eravamo circa a metà strada e continuavamo a costeggiare il riarso Guerro, ho buttato l'occhio alla mia destra e ho visto l'acqua. Ho visto il Guerro, improvvisamente, scorrere con una certa qual baldanza alla mia destra e ho detto a mio padre fermati che qui c'è acqua.
Abbiamo parcheggiato quasi sulla riva del torrente, e il Guerro era lì, gorgogliante e limpido. Timido ma sicuro percorreva la sua strada di sempre, ma c'era, nel complesso, qualcosa di strano, di innaturale. Il Guerro scorreva perché da qualche parte imprecisata, in mezzo al campo, una sorgente d'acqua pulita si innestava senza posa dentro di lui, un affluente misterioso gli ridava l'energia ormai dimenticata.
E allora mio padre si è tolto le scarpe e mi ha detto andiamo a vedere da dove viene quest'acqua. E io non mi sono fatta ripetere la cosa due volte, ho mollato sui sassi caldi calze e scarpe da ginnastica, e l'ho seguito nella sua risalita alla scoperta di questa fonte misteriosa, che in realtà non era altro che un tubo dell'acquedotto lasciato aperto da chissà quale contadino distratto.
E così, in quattro e quattr'otto, io e mio padre ci siamo trovati con i piedi nel torrente, come avevo tanta voglia di fare: e le dita dei piedi affondavano paciose tra l'argilla morbida e dolce e le punte curiose dei sassi, e mio padre si è trovato un sasso comodo che affiorava dal mezzo del torrente, ci si è seduto sopra e ha pure scavato una fossa più profonda davanti a sé per immergere la gamba almeno fino al polpaccio. E io ho scelto un altro sasso, un po' più a valle, mi sono seduta dietro di lui, con la faccia verso il sole brillante delle cinque di pomeriggio, e siamo stati in silenzio per mezz'ora: con i piedi pucciati e le libellule Evinrut che ronzavano intorno.

E tutto, ma proprio tutto, il nervoso per non aver portato con me la macchina fotografica, l'ansia per un dottorato che finisce e che non lascia spazio a null'altro, la nostalgia di Parigi, la paura di rinascere, le emozioni di queste giornate assurde, le novità e gli eterni ritorni, il terrore di sbagliare, tutto scorreva via, insieme all'acqua dell'acquedotto lasciata aperta da un contadino pigro e all'acqua del Guerro che si era quasi dimenticata come camminare.

Tutto scorreva via e rimanevamo solo io e mio padre, a sentirci, d'improvviso, un po' più padre e un po' più figlia.

9 commenti:

  1. "Questo è l'Isonzo
    e qui meglio
    mi sono riconosciuto
    una docile fibra
    dell'universo

    Il mio supplizio
    è quando
    non mi credo
    in armonia

    Ma quelle occulte
    mani
    che m'intridono
    mi regalano
    la rara
    felicità"

    (Ungaretti, 1916)

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  2. Okey, bellissimo. Ma nel Guerro ci sono le nutrie, non farlo mai più!

    niculet

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  3. muahahahahah! Ma sono meravigliose le nutrie, Nicolet!

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  4. Tinni, meno male che esisti tu che scrivi queste cose bellissime!
    Ipaz

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  5. Ehi ragazzi(e), troppa grazia!
    Sono sinceramente commossa! ;)

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  6. mai stata alla ricerca della sorgente del guerro...sarebbe bello...giungere in generale all'inizio di un fiume...e vedere il miracolo della natura che si compie..

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