1. G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia
Silenziosa luna?
(...)
Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che sì pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perché delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera, Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l'ardore, e che procacci Il verno co' suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore. Spesso quand'io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano; E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l'aria infinita, e quel profondo Infinito Seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? (..) Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. (...) Forse s'avess'io l'ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, dolce mia greggia, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, E' funesto a chi nasce il dì natale. 2. (in particolare dal minuto 3.00) http://www.youtube.com/watch?v=U9yPcRAs-Iw |
1.
RispondiEliminaἔνθα πύλαι νυκτός τε καὶ ἤματός εἰσι κελεύθων,
καί σφας ὑπέρθερον ἀμφὶς ἔχει καὶ λάινος οὐδός·
αὐταὶ δ' αἰθέριαι πλῆνται μεγάλοισι θυρέτροις·
τῶν δὲ δίκη πολύποινος ἔχει κληῖδας ἀμοιβούς.
(Parmenide)
2.
"Alis autem insunt penne maiores per longum extremitatis posterioris earum et plume minores insunt alis supra et infra [...] moventur autem ale multipliciter secundum voluntatem avis, scilicet sursum, deorsum, ante et retro, extensive et contractive". (Federico II, De arte venandi cum avibus I 166-7)
Lo spezzone è freudiano. Anacleto è Lui, non solo si somigliano, ma parlano pure uguale uguale. Anche il volo pindarico non Gli è estraneo.
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