A volte, un po' per caso un po' per desiderio (cit.), mi capita di uscire di casa senza lenti a contatto. Non mi manca così tanta vista, infatti, da non poter deambulare senza pericoli di grossa taglia e, se mi rompe indossare gli occhiali o le lenti a contatto mi danno fastidio, a volte, esco così, con gli occhi parzialmente invalidi.
E non è una brutta sensazione.
L'altra sera un'amica mi ha chiesto sconvolta come diavolo facessi a girare per le strade notturne di Parigi così, senza vedere esattamente tutto ciò che mi sta intorno. Lì per lì ho risposto con una risata, ma ieri pomeriggio, mentre mi dirigevo a fare la spesa (una delle attività diurne che vedono il disdegno delle lentine maggiormente vivo), ho cercato di riflettere sul motivo che mi portava, a volte, a girare un poco ciecata e incurante dell'alta definizione.
La verità, miei cari lettori, è che la vita è fatta di questo, di un passo dopo l'altro verso il supermercato, di aperture e chiusure di porte, di attimi che scorrono tutti uguali; e io, molto spesso, ho la sensazione che tutto questo non stia portando ad un bell'accidente di niente. Ho questa sensazione di scorrimento banale, spesso, salvo quando mi metto a riflettere, come ieri pomeriggio, sui motivi che mi portano a non mettere di proposito le lenti, o sui piaceri che mi derivano dall'acquisto di un tipo di fagiolini che non avevo mai provato, o sulle sensazioni che si provano in fondo al cuore quando tasti le albicocche prima di infilarle nel tuo sacchetto (una delle poche attitudini 'terrone' a cui non rinuncerei per nulla al mondo; e non venitemi a dire che tastare le cose con l'apposito guanto è la stessa cosa!).
Insomma, per farla breve, mi trovavo in uno di questi attimi di importante e densa consapevolezza quando ho capito come mai camminare, agire, comprare, correre, salutare e vivere per un poco senza lenti a contatto non farebbe male ad ognuno di noi (gradi di miopia permettendo).
Perché quando vedi male intorno a te, sono, per una volta tanto, gli altri sensi a farla da padrone. Oggettivamente, la vista è spesso un po' prepotente, non trovate? E' quella che vuol comandare, che giudica, che incasella, che scatta più veloce degli altri; è la razionale del gruppo, il grillo parlante.
Però ogni tanto fa anche bene che si metta un po' da parte; gli altri sensi se lo meritano, in fondo.
E così ti ritrovi a camminare odorando il vento che ti viene incontro, dove ritrovi qualche goccia di una pioggia lontana e la polvere del parco poco distante, ti ritrovi faccia a faccia con il reparto frutta e verdura, con il suo profumo dolce e aguzzo (quando ero piccola, dunque dotata di un più spontaneo e più solido raziocinio, andavo dicendo che avrei sposato ASSOLUTAMENTE o un fruttivendolo o un fornaio, per vivere tutta la vita dentro quegli odori magici), con la guerra non detta tra il settore avvolgente e morbido dei profumi della frutta e quello aspro e frizzante di quelli della verdura; ti ritrovi ad ondeggiare a tempo di musica per un'autoradio a tutto volume sparata da una macchina i cui abitanti, se li vedessi bene, riceverebbero invece il tuo tacito disprezzo; ti ritrovi a rubare una ciliegia dal banco della frutta che tanto anche se il commesso ti vede tanto tu non lo vedi quindi che problema c'è?!; ti ritrovi a sfiorare senza volere la mano della commessa nervosa e apprendista della cassa, e ne senti in un istante la fatica e la responsabilità.
Quando guardi intorno a te e sei senza lenti, sono le cose macroscopiche che non ti possono sfuggire: e prima fra tutte il cielo in continuo movimento. Le inezie della vita, i dettagli che spesso ci rendono scemi, non li percepisci.
E anche i volti, i visi della gente intorno a te, perdono i lineamenti esatti: diventano una più indistinta umanità, che lotta, soffre, spera (è il periodo delle citazioni inattese, questo: vediamo chi sa cogliere questa, provenuta dai meandri di una memoria che non ricordavo neppure di avere!), e allora diventa un po' come quando, l'ultimo anno di maturità, quando pensavi di non farcela ad alzarti tutte le mattine e a fare un cavolo di compito in classe al giorno e simulazione e interrogazione programmata, ti fermavi un attimo e dall'ultimo banco a destra osservavi per un istante quei 25 diavoli con cui avevi, volente o nolente, fatto tutta quella strada fino a lì. E il loro sudore, e le loro fronti aggrottate, e le loro risate nervose nell'attesa di un voto, ti davano conforto per il semplice fatto di esistere, perché la lotta non era più una lotta solitaria, ma insieme. E non è vero che la metà di uno sforzo infinito è sempre infinita: perché la matematica spiega tante cose, ma l'amore, quello non lo spiega nessuno, lo senti e basta.
"Lotta, soffre speraaaa...come una terra che nell'arsura chiede l'acqua a un cielo senza nuvole..."
RispondiEliminaChissà cosa direbbe Freud di questi frammenti del tuo passato cattocomunista che riemergono...
Ho vinto, ma gioco in casa.
Niculet
La tua capacità intertestuale è una certezza, amica mia!
RispondiEliminaCara blogger,
RispondiEliminaI wear contact lenses every day.
I like to see the world around me in FullHD
I do not understand your blur-effect-addiction.
giàgià e io -che sono miope da un occhio- mi divertivo solo a vedere sfocato senza accorgermi di quant'altro ci fosse :)
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