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venerdì 25 novembre 2011

Un cappotto verde

(ci riproviamo, dai).

Ieri sono stata ancora una volta - una delle ultime volte, presumo - a Roma.
C'era caldo, come al solito. Come al solito c'era quel vento bello che sa di divano la domenica pomeriggio e quando appoggi il piede sulla banchina del binario di Termini ti dipinge in faccia un'ineliminabile sorriso di beatitudine. Come al solito c'erano facce amiche, persone con cui il tempo passa veloce come sgranare le perle colorate di una collana; c'erano strette di mano forti e caffè che costano poco. C'era la gente stanca e appiccicata in metro che, come al solito, trovava comunque il tempo di buttare tutto in battuta. E c'era il Goc, c'erano pagine corrette che andavano bene e odore di fumo nello studio.

Ma ieri c'è stata una cosa in più. Una cosa inaspettata, una cosa che non avrei mai potuto programmare e che mi è rimasta attaccata fino a sera e ancora anche stamattina, finché non ho deciso di fermarla appoggiandola qui.

Ieri pomeriggio un Uomo mi ha aiutato ad infilarmi il cappotto. Come nei film, come nelle regole del galateo, come nei romanzi di Jane Austen. Io me ne stavo lì goffa e impacciata, con una manica infilata e lo zaino strapieno che pendeva dall'altra mano e Costui mi ha detto posso? e mi ha aiutato ad indossare il resto.

Solo che quest'Uomo non è un uomo come tanti altri. Perché quest'Uomo ha una malattia orribile e sa che presto morirà.

E ieri pomeriggio mi ha aiutato ad infilarmi il cappotto. Quel cappotto verde che piace tanto a tutti; quel cappotto verde speranza, di una speranza di cui io non so che farmene e che invece a lui farebbe tanto comodo. E magari è stato pure un gesto meccanico, per lui, chissà.



Però a me, che un uomo mi aiutasse ad infilarmi il cappotto, non capitava più o meno dall'età pre-puberale, e in quel caso l'uomo in questione era mio padre. Sicché quel gesto mi ha fatto piacere. Mi ha fatto sentire importante, è stato un po' come giocare per un attimo, in mezzo ad una tempesta, a fare Greta Garbo con Clark Gable.

E quindi ho deciso di annotare questa, più di tutte le altre cose belle che mi sono capitate ieri a Roma, e, facendolo, di correre il rischio della retorica del dolore che spesso affligge questo genere di aneddoti. Di annotare questo pezzetto di vita, anche per dire a tutti gli uomini in lettura che è bello aiutare le donne ad infilarsi il cappotto. E' un bel modo di dire ci sei. E' un bel modo di farle sentire un poco più regine.

E in fondo penso che, forse, buttare il mio anonimo grazie a quest'Uomo nell'oceano dell'etere e prenderlo a modello di fronte a tutti voi sia un po' l'unica cosa che posso fare per lui, al momento.

E quindi: grazie a lui; e imparate a voi.

4 commenti:

  1. potrebbe essere l'incipit di un bellissimo romanzo, non trovi?

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  2. Ti ringrazio per farci ricordare con gentilezza e con sensibilità una cosa piccola ma grande, una di quelle cose che i giornali attenti ad altro o la fretta ti fanno facilmente dimenticare.

    Un pensiero affettuoso per il tuo papà e per tutti i papà del mondo, quando aiutano i loro figli a vestirsi, a coprirsi, magari facendo loro l'occhiolino.

    Marco

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  3. in questi anni purtroppo una cosa è del tutto dimenticata, il garbo...
    invece per quest'uomo(d'altri tempi purtroppo) è stato un fatto del tutto naturale e spontaneo, per lui il compiere quel gesto sicuramente non sarà stata una cosa eccezionale.Per noi,non avvezze a tanta delicatezza,lo è

    p.s.:posso chiederti di chi è il cappotto nella foto?
    deb

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