Io lo giuro che ci ho provato, che è pure un'espressione che a Tinni piace molto, con il suo rassicurante e confortevole passato prossimo e quel ci che fa tanto cameretta con le tendine verdi, ci ho provato, dicevo, con tutta quella storia dei migratori e dei ruoli al secolo e del non sentirsi snob e del tornare a casa come metafora del riscoprire se stessi.
Ci ho provato a non volare per i fatti miei, a stare in coda dalla parrucchiera, a santificare le feste, ad ascoltare barzellette e a sorpassare senza la freccia. Ci ho provato e devo dire che a tratti l'ho pure trovato simpatico.
Però volevo ritagliarmi questo minuscolo spazio di mattina per sfogarmi un po' con l'invisibile al di là dello schermo e dire che, però, ci ho provato ma adesso basta.
E ieri sera mi sono tappata il naso ho preso fiato mi sono tuffata in una piscina di umanità cosiddetta normale e, dopo due anni - ed è sempre la memoria dello stesso periodo che torna alla mente in questi giorni - ho riprovato la medesima, identica sensazione delle prime serate a cena al foyer di Parigi, lo stesso ronzio frustrante, appiccicoso, svuotato, di quella cascata di parole in lingue incomprensibili.
Solo che, allora, avevo la scusa di non sapere il francese.
un po' triste, questo
RispondiEliminaSì, un po' triste in tutti i sensi, in effetti. Ma stamattina avevo proprio addosso quella sensazione lì, come se fossi l'unica non mascherata ad una festa di carnevale, boh, cose così. Ma passerà, dai.
RispondiEliminaBellissime parole, davvero.
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