Oggi studiavo in biblioteca ma le lettere delle parole scritte sulla pagina si accavallavano l'una sull'altra e lo sguardo, incazzato per questa impertinenza, si voltava immusonito altrove e non lo avresti convinto a fare pace nemmeno con una torta al cioccolato.
Oggi due ragazzini si abbracciavano nel cortile interno e io ho dovuto abbassare la testa per non essere invidiosa della loro gioia fuggitiva.
Oggi avrei voluto pranzare con qualcuno e raccontargli un sacco di cose e srotolare un bel po' di dubbi e vedere il suo sorriso rispecchiato nei miei occhi e invece ero sola.
Poi, verso l'una, mi è venuta la pipì: una pipì fulminante.
Sono andata in bagno, fuori dalla biblioteca, e passando dalla caffetteria ho visto un ragazzo seduto ad un tavolo del bar con un panino nella mano destra e un libro - un libro ricoperto di plastica con l'etichetta e la collocazione sul dorso, come solo i libri di una biblioteca possono avere - in quella sinistra. E mi sono detta ecco quello che farò anche io in questo pranzo solitario. Andrò a rovistare tra gli scaffali di questa biblioteca - mi sono detta - come se fossero quelli di casa mia, come se avessi una stanza enorme, alla maniera di quella che c'è nel castello della Bestia nel cartone La Bella e la Bestia e potessi permettermi di scegliere il prossimo romanzo tra tutti quelli in circolazione. Andrò di là nella sala narrativa e mi farò ispirare da un criterio di casualità mista a curiosità, poi verrò qui al bar e mangerò la mia solita insalata con tutto tranne le carote leggendo un pezzettino di romanzo.
E poi lo rimetterò a posto e domani, se nessuno avrà avuto la brillante idea di prenderlo in prestito, domani tornerò a quel centimetro di scaffale e ritroverò con qualche esitazione ed un sospiro di emozione il dorso colorato - proprio come quando si rivede il volto di un amico che si conosce da poco - e mi rimetterò a sedere e davanti alla mia insalata con tutto dentro tranne le carote andrò avanti di un altro passo.
Ed è proprio così che ho fatto.
Sono corsa al settore narrativa, ho buttato l'occhio su tanti titoli affastellati che non mi dicevano nulla e poi, ad un certo punto - e chi è stato a prendere un cane al canile racconta sempre la stessa storia, identica, sul come ha trovato il suo, di cane - da una mensola Banana Yoshimoto mi ha strizzato un occhio e mi sono rivista davanti la mia migliore amica del liceo (che tra l'altro, per gli strani casi intrecciati della vita, compie gli anni proprio oggi, è vero) che mi diceva esaltata è bellissimo, devi leggerlo a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e!, con quell'entusiasmo timido ma deciso che aveva sempre lei, e io non le avevo mai dato retta ma, all'improvviso, quello mi sembrava finalmente il momento giusto.
E è stato così che ho preso tra le mani Il coperchio del mare, che sulla retrocopertina ha una poesia bellissima che mi ha conquistato ancora di più di quanto ce ne fosse bisogno e sembrava parlare esattamente a me, sembrava rispondere a tutto quel bel po' di dubbi che avevo, sembrava sorridere e il suo sorriso si rispecchiava nei miei occhi e ascoltava tutto quello che avevo da dirgli.
(è buffo, tra l'altro, perché questo post, che ho programmato in pubblicazione per stasera, è stato scritto ieri, e proprio oggi Qualcuno, molto meglio di me, ha scritto qualcosa di simile sui libri e sugli scrittori che ti curano. Leggetelo, perché è bellissimo).
Ci siamo sedute in due, a quel tavolino di bar, tenendoci la mano: e le prime pagine del romanzo parlavano di granite, di una donna che torna a vivere nel paesino della sua infanzia, di bellezza e di bruttezza, e arrivavano diritte là dove dovevano arrivare; e quando io ho lasciato per qualche istante il libro lì seduto a fare la guardia alla mia borsa per andare al bancone ed ordinare la mia insalata il barista mi ha guardato negli occhi con un paio di sorprendenti fanali azzurri e, nel suo accento francese stiracchiato e nostalgico mi ha detto, per la prima volta dacché mangio lì, un'insalata con tutto senza carote, vero?
Tutto qui.
E' stato un segmento bello di giornata, che stava a posto con tutto il resto e si infilava nella successione dei segmenti come un passo si infila dietro a quell'altro, quando cammini sul bordo del marciapiede o ti diverti a seguire la linea esatta di una mattonella.
Perché non è sempre il tempo di guardare l'orizzonte, laggiù in fondo dove l'occhio si perde; a volte è tempo anche solo di tenere lo sguardo fisso sui propri piedi, uno dopo l'altro: precisi, costanti.
E non è affatto male, vi dirò.
Di sicuro si sta più attenti a non cadere, con tutto il ghiaccio che c'è ancora per strada.
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