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venerdì 16 marzo 2012

Anelli catalani

Stamattina, mentre annaspavo con la mano - ancora tra il sonno e la veglia - confusamente nel cestino degli elastici per i capelli e delle forcine, con le dita ho urtato una cosa che non aveva la forma né di un elastico per capelli né di una forcina. Era tondo e piccolo, e mentre lo sollevavo - ancora tra il sonno e la veglia, ma un centimetro di più verso la veglia - mi è scivolato di mano e tintinnando è caduto vicino al lavandino.

Era un anellino bianco e azzurro.


Era l'anellino bianco e azzurro che comprai a diciannove anni appena compiuti, nella memorabile 'vacanza della maturità', su di una bancarella di ambulanti di qualche sperduta via di Barcellona, e al mio fianco mentre pagavo e in cambio mi prendevo l'anellino bianco e azzurro - e io lo volevo proprio di quel colore lì, ed era stata una gran fortuna che fosse della mia misura, visto che io di solito ho sempre le dita troppo minuscole perché gli anelli delle bancarelle non mi scivolino via con disappunto - al mio fianco in quel momento c'era la mia silenziosa amica Elena, mentre le altre due, la Fra e l'Ire, in quel momento stavano dal parrucchiere a farsi una i rasta e l'altra le ciocche rosa, e ci saremmo incontrate di lì a poco per l'aperitivo sulle Ramblas, o semplicemente per una passeggiata sul mare, non ricordo. Era proprio una vacanza della maturità con tutti i crismi: con i rasta e le ciocche rosa, i viaggi nei treni notte, con gli acquisti alle bancarelle e le birre fresche alle sei di sera e le risate e il senso di libertà e tutto il resto, esattamente come ve lo immaginate ed esattamente come si legge nei libri dei teenagers di oggi. Una bella vacanza, sì.

E tutto questo mi si è aperto davanti proprio stamattina, tra il sonno che lasciava il posto alla veglia, al tintinnare dell'anellino che credevo perduto chissà dove, e così mi sono piegata sotto il lavandino, l'ho raccolto e gli ho detto oggi ti porto a fare un giro a Bologna, dai.

Ché quell'anellino bianco e azzurro, per un motivo o per l'altro, non lo indossavo davvero da un'eternità di tempo, e si meritava una gita fuori porta, in fondo. Non foss'altro per il bel riquadro di ricordi che mi aveva portato alla mente.

Ci sono un sacco di oggetti che risalgono a quel periodo della mia vita, in effetti, che indossandoli di nuovo, così per sfizio in una giornata come le altre, mi restituiscono un briciolo di inconsueto ed affettuoso calore. Ci sono i jeans a zampa di elefante che mia mamma ci aveva cucito un triangolo di stoffa in fondo per allargarli ancora di più, per esempio: di tanto in tanto li infilo per fare qualche lavoro di fatica (?) e mi ci accoccolo dentro sempre molto volentieri - saranno forse quel paio di chili persi rispetto agli anni di scuola, ma non credo sia solo per quello, a dire il vero; ci sono i maglioni orribili di mio papà, quelli che venivano direttamente dagli anni sessanta, con quei colori molto Beatles che io portavo con le maniche larghe che scendevano oltre le punta delle dita; c'è quella sciarpa multicolore che un pugno in un occhio farebbe meno impressione, quella lavorata a maglia da me medesima durante le lezioni di letteratura italiana e inglese, il penultimo anno di scuola, e mi sentivo così grande, a saper costruire qualcosa, che se mi ci impegno riesco ancora a rivedermi, fiera e scema con la patente fresca in una mano e la sciarpa a mille righe nell'altra; e poi ci sono lo zaino logoro pieno di spillette che si staccavano sempre e si perdevano nel marasma delle cianfrusaglie e una mattina le ritrovavi in mezzo al vocabolario di latino, tra interclamo e intercludo, ci sono le magliette colorate a mano, fedeli compagne di sudate ed allegre estati di campeggi scout, ci sono i collant colorati e le gonne a quadri.

C'è tutto un universo, dietro a quei capi, c'è una Tinni vera e pulsante nascosta nelle pieghe di quei maglioni; e ogni volta che li indosso di nuovo - esattamente come stamattina con l'anellino bianco e azzurro - mi pare di vedermela lì, un po' incazzosa e un po' impettita, nella sua risata fragorosa che sapeva di lacrime. E mi viene una voglia matta di dirle un paio di cose, di scriverle una lettera, di fermarla con un gesto e di farle senti un po'.

Di dirle che a volte ci ripenso, a lei, e mi pare di essere esattamente la stessa Tinni di allora, con i facili entusiasmi e le risate fragorose che coprono la solitudine, con le fisse e l'ostinazione didattica, con gli abbracci impetuosi e il terrore dei primi baci. La stessa Tinni lentiggine dopo lentiggine, e allora vorrei spiegarle che forse non serve a nulla piangere per l'innamorato di turno, o, se anche serve, che prima o poi le lacrime si asciugheranno da sole e ci sarà un nuovo nome con la lettera puntata da scrivere sul diario, e poi un altro ancora e ancora. E ogni volta sembrerà quello giusto e ogni volta si ricomincerà da capo, che è una cosa che sei tanto brava a fare, lo dicono tutti.

Ma forse non è nemmeno questo, che le direi, se la trovassi seduta per terra in un angolo della camera, rientrando una sera a casa dopo un lungo pomeriggio di lezioni; no: non parlerei di amori né di lacrime; non menzionerei né la scuola né il lavoro. Parlerei invece di quella vacanza a Barcellona, e se fossimo entrambe fortunate forse lei starebbe giusto per partire, di lì a poco, destinazione un caldissimo appartamento sotto la Sagrada Familia. E allora le direi proprio questo.

Le direi di non avere paura, mai più. Che non è vero quello che a volte le dicono, che lei è un po' diversa e deve riposare tanto e avere uno stile di vita pacato e arrivare sempre qualche minuto in anticipo e fare poche cose e bene ed essere prudente e chi va piano va sano e va lontano. Le direi di non aver paura della vita, del rumore, delle cazzate; le direi di non preoccuparsi, almeno per quella settimana di pura libertà che le si apre davanti. Di uscire e di fare le sei di mattina e di tornare con la prima metro, e non di restare a casa ad aspettare le altre amiche con la scusa di un mal di pancia inesistente. Di cenare alle undici di sera e di pranzare con noccioline e pop corn. Di farsi i capelli viola, e non di malignare sulla tinta venuta male della Fra quando invece a parlare è soltanto l'invidia. Di spendere soldi in cazzate, anche solo per la sensazione di girare per la città con le borse dello shopping che sbattono contro ai polpacci, invece di mettere da parte i centesimi del caffè. Di correre a perdifiato perché si è arrivati in ritardo alla stazione e si prende il treno al volo. Di uscire anche senza trucco e con le occhiaie; di smetterla di fare finta di essere allegra quando non lo è e di piantarla, una buona volta, di voler insegnare ai pessimisti ad essere felici.

Le direi di bere quella settimana di vacanza a Barcellona come una birra fresca nel primo pomeriggio d'estate, con tutto il capogiro leggero e lo stordimento morbido che ti lascia addosso.

E poi la abbraccerei forte fino a farla quasi soffocare e, prima di lasciarla montare sul treno notte per la Spagna le sussurrerei all'orecchio che, comunque, anche se non ce la farà, in quella settimana, a non avere paura della vita, che non si agiti e che non si crucci, ché arriverà comunque un giorno, prima o poi, in cui ci saranno treni presi al volo e prime metro del mattino - che, forse, non saranno spagnole ma francesi - , corse folli fino a sputare i polmoni con un amico scemo che si è messo in testa di allenarti come forrest gump - al diavolo la tachicardia - e gesti pazzi fatti con in tasca una risata e un bigliettino con un indirizzo. E laveranno via la paura e saranno quelli, un giorno o l'altro, che la renderanno felice nonostante che; felice qualche istante, eh, mica l'eternità, ma felice senza l'aiuto di nessuno.

Felice - insomma - perché un po' più donna.



3 commenti:

  1. Ohibò !
    Pensa che il mio vestito da sposo se l'è messo il figlio "piccolo" per andare al matrimonio di una sua capa scout... sic transi gloria mundi...

    Anonimo SQ

    PS comunque anch'io fino ai 45 mi son sentito lo stesso della maturità, ed a giugno mi prendeva la nostalgia dello zaino in spalla e dell'autostop. A volte mi pende ancora, ma con 25 kili di più farei solo ridere...

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  2. Non ci si deve per forza inquadrare in 1 categoria: la tinni coraggiosa, la tinni fifona ecc.... La gente non è "o questo o quello". Perchè le categorie servono solo per le elucubrazioni da blog o per chi ha paura di vivere. Vivi tinni: i momenti e le emozioni, le paure e gli attimi di coraggio. Non è questo la vita? Un susseguirsi di momenti? In 1 altro post invidiavi la signora con la spesa, ora invidi l'amica che si fa i rasta... Ci si stanca di se stessi, quando si è sempre uguali e si fanno sempre le stesse cose. Ci fanno sentire al sicuro le "stesse cose", non felici. Sii come ti viene da essere in quel dato momento. Si vive di momenti, non di categorie o di schemi preordinati. La vitaè una gita, infondo.

    Comunque bel blog. Ti ho scoperta da poco ma piano piano sto leggendo tuttissimo!!!!!!!

    Giulia

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  3. Grazie ad entrambi per i pensieri, e scusate il ritardo. @Giulia: ci proverò, promesso, è che ho un debole per le classificazioni e gli elenchi e le etichette, ma sto cercando di smettere. Mi fa piacere che il blog ti piaccia, comunque!

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