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giovedì 10 maggio 2012

Martina

Ci siamo amate subito o quasi subito, io e te. Forse è stato per il colore delle mie scarpe, che ad un'intenditrice come te non sarà sfuggito al primo sguardo; forse per come saltellavo da una parte all'altra del giardino gridando e gesticolando; forse, più semplicemente, perché mi hai trovata buffa o forse ancora simpatica. Non so cosa sia stato, per te; ma quanto a me me posso dire qualcosa di più. Eri bella, questo sì; simpatica, anche; sapevo già di te e la mia idea costruita su foto di feisbuk e racconti entusiasti preparava di certo bene il terreno; starnutivi come me per i piumini e per tutta quell'erba intorno, eppure ti ci gettavi dentro felice, tirando su con il naso imperterrita, e questo ha fatto sicuramente di noi due due impavide alleate; ma, più di tutto, più di ogni altra cosa, è stato il tuo sguardo furbo a chiamarmi, è stato quel modo un po' insolente e un po' spigliato di squadrare, quel sorriso invitante e ripieno che è tipico dei bambini che amano la compagnia degli adulti. E quei bambini lì, i bambini che alle feste e alle grigliate e alle cene cercano la compagnia degli adulti in quel modo intelligente e provocante, quei bambini lì sono in assoluto i miei preferiti.

E così siamo diventate amiche, ieri sera, io e te, e abbiamo trascorso qualche ora insieme e io ti ho insegnato ad accendere i cerini prendendo il fuoco da quelli già accesi, ti ho spiegato come mai se copri una candela con un vaso quella si spegne, ti ho preso in braccio fino a farti volare con le gambe all'aria e ti ho voluto un po' di bene. Tu, beh, tu, dal canto tuo, mi hai fatto vedere una rosa splendida che stava dimenticata in un angolo del cortile e anche il ragnetto che ci stava nascosto dentro così bene ma così bene che solo tu te n'eri accorta, e poi mi hai insegnato a fare l'inchino alla fine del numero acrobatico che abbiamo allestito a beneficio degli astanti con il risultato di farti adorare da ogni adulto dotato di senno e di farmi perdere ogni barlume di credibilità di fronte a chi ancora aveva di me un'idea ragionevole, e poi ancora mi hai illustrato i dettagli delle tue scarpe da ginnastica con le lucine e mi hai voluto un po' di bene anche tu, sì, l'ho sentito sul serio. Mi hai detto che la luna ti piace di più piena e che vorresti mangiare mille fragole e ancora di più; e quando ti sei sbruciacchiata le dita con il fuoco del cerino non hai versato nemmeno una lacrima, mentre la tua sorellina, lei sì che avrebbe pianto e avrebbe urlato tanto, ma che ci vuoi fare, ha ancora tre anni, è piccola.

Ci siamo volute un po' di bene entrambe, ieri sera, e io ho pensato, oggi, di immortalare in queste righe un po' di sapore di fragola e un po' di odore di erba, perché è stata proprio una bella serata, e lo è stata anche e soprattutto per te.



Io me ne stavo immersa in conversazioni di rito sulle vacanze estive e sui difetti degli aeroporti italiani, cercavo di dribblare la corte un po' troppo invasiva di un personaggio fino a poco prima a me ignoto, mi incuneavo tra schiene e braccia altrui per riempirmi il più possibile il piatto di manicaretti e sostanzialmente mi annoiavo, finché non sei arrivata tu. Quindi grazie, Martina.

Grazie per aver reso questa serata ancor più bella e per avermi dato quarant'anni e per avermi abbracciato forte quando sei partita. Grazie per la tua risata, per la voglia di maternità che hai fatto esplodere in questo mio petto rachitico e grazie perché hai saputo toccare i tasti giusti.

Perché i bambini, a cinque anni e mezzo, come sanno farti capitolare loro, senza nemmeno accorgersene, nessuno lo sa fare così bene. E quindi grazie anche per questo; grazie del cerino a forma di cuore che mi hai regalato mentre ci dicevamo addio e grazie per aver esprinto il desiderio, mentre soffiavi sulla candela, di stare tutto il tempo per sempre con me.

Crescerai anche tu, cara Martina, e arriverai ad avere (quasi) quarant'anni come ne hai dati a me. Imparerai che la luna è bella anche se è a metà, e anzi, a volte a metà è ancora più bella. Imparerai che a mangiare mille fragole si sta male e che invece a mangiarne dieci si ha la pancia piena e il sorriso sulla bocca. Imparerai che non si può stare tutto il tempo per sempre con qualcuno e farà male come il male alla pancia per le troppe fragole, all'inizio, e poi un giorno imparerai che invece è bello così.
Dimenticherai come si fanno le capriole e nessuno sarà più capace di prenderti in braccio e farti volare così in alto; però l'inchino bello di fronte al pubblico, no, quello no, non te lo dimenticare come si fa. Ché gli applausi degli astanti entusiasti, ne sono certa, non smetteranno mai di arrivare.

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