La commessa del negozio in cui sono entrata settimana scorsa per comprare le nuove ballerine della prossima primavera, invece di rinchiuderle in una scatola di cartone, me le ha date avvolte in una busta di plastica spessa e trasparente fermata in alto da una stanghetta di plastica. Alla stanghetta di plastica è incollato un appendino di forma uncinata, e così il paio di ballerine color nocciola che solleveranno la polvere e vibreranno sugli asfalti al ritmo dei miei passi, nella prossima primavera, al momento riposano ignare e trasparenti dentro questa busta, appese tra una borsa e l'altra nel mio appendiabiti dietro la porta della camera da letto (nonché unica camera della casa, perché l'altra più che una camera è una cucina).
La porta è ora chiusa, e io sono sul letto in questione, cosicché riesco a vedere comodamente il sacchetto, le due scarpine vibranti vita da calpestare, l'appendino e anche l'etichetta col codice a barre incollata su un lato della busta.
Vedere queste ballerine, ogni giorno, quando apro gli occhi nel baluginare delle strisce di luce dalle imposte, quando mi faccio crisalide serale sotto il vuoto freddo del lampadario; vedere quelle scarpette, tutte le mattine e tutte le sere, in quei momenti preziosi e delicati quali sono le albe e i tramonti delle giornate, beh, mi fa stare meglio.
Ci sono una serie di oggetti che promettono strada, nascite, cadute e rimbalzi; e che a volte faccio l'esercizio di chiudere gli occhi e di pensarli, materializzare nel soffio del respiro il vento saporito di cui sono foriere. Le chiavi del catenaccio della mia vecchia-nuova bicicletta, i barattoli di vetro delle marmellate coop lavati e pronti per accogliere biscotti o fagioli secchi, la sedia verde e arrugginita dall'altro capo del mio letto - comodino improvvisato e atteso, le borse della spesa fatte di stoffa, le sciarpe leggere e fiorite per le brezze serali dell'estate, i bottoni di riserva impettiti nelle etichette dei maglioni appena comprati.
E le ballerine nuove per la prossima primavera.
E ora, ora che ho scoperto che, ad averle sotto gli occhi in forma di sacchetto di plastica appendibile, si è felici (un po' felici), ancora di più che ad immaginarle, tutte queste cose, ora ho deciso di tirarle in massa fuori dai cassetti, dagli armadi, dagli sgabuzzini e dagli angoli polverosi ed intimiditi di questo lungo inverno interminato. A cominciare dalla sedia verde, che non se ne andrà mai più di lì - in paziente e felice attesa del suo utilizzatore di fiducia - per finire con i foulards a pois e fiorellini, che troveranno, fermamente dolci, il loro spazio di vita tra i brutali cappucci e i paraorecchie del ventoso ingresso.
Con l'augurio, per tutti voi, di vedervi recapitati - ignari, sovrappensiero, con ancora la carta bancomat in una mano ed il portafoglio nell'altra - una busta di plastica, al posto di una chiusa scatola dura, trasparente, con dentro le vostre, personalissime, speranze di gioia.
Sei riuscita a rendere simpatico anche l'oggetto più anti-seduzione, anti-femminilità, anti-tutto, che esista... signori, questa è poiesis!
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