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venerdì 8 marzo 2013

Sergio Caputo e l'ora solare (2002)



Nel novembre del duemiladue, la prima domenica del mese, venne l'ora solare. Credo di poter affermare con una certa sicurezza che l'ora legale fosse venuta anche negli altri novembri precedenti, e, se non erro, è arrivata anche nei novembri - tutti - che hanno fatto seguito a quell'anno duemiladue. Forse, se saremo ancora tutti qua, busserà anche nel novembre duemilatredici, l'ora solare, ed entrerà nelle nostre vite a cullarci con l'ultima carezza prima del gelo invernale, a regalarci una manciata di albe in più e un pugnetto di minuti di avvoltolamento nelle lenzuola, la mattina di vacanza.
In quell'anno duemiladue, però, l'ora solare venne e fu accompagnata in colonna sonora dalla canzone che vi ho inserito qua sopra: il mio sedere poggiava sui sedili in pelle larga e morbida di una macchina lunga e lussuosa di proprietà di un amico ricco quanto mite, seduta davanti a me stava la sua fidanzata di allora, qualcun altro che ora non ricordo riempiva gli altri due posti morbidi e lussuosi ed era in assoluto la prima volta in cui scoprivo, tastandolo con mano, che l'ora solare era un ottimo modo per aggirare il controllo genitoriale sull'ora di rientro, il sabato sera. Marcello - l'amico alla guida di quell'auto scura ed accessoriata - aveva appena riflettuto ad alta voce sul fatto che sono le tre, ma in realtà sono solo le due, quindi stiamo tornando relativamente presto a casa e io, mentre Sergio Caputo sillabava furbo le sue note sbarazzine, mi sentivo beatamente grande.

Era un periodo, quello lì dell'ora solare con Marcello e Sergio Caputo, che avevo scoperto che a bermi un the caldo verso le cinque di pomeriggio riuscivo a non crollare di stanchezza sui libri alle diciannove, e potevo sottolineare - cauta, lenta, approfondita - qualche pagina di libro anche dopo cena; e sentivo le mie ore più preziose.
Era un tempo, quello, in cui avevo smesso di gonfiare il vecchio astuccio colorato delle medie con pance di evidenziatori e punte di biro colorate; sempre con Sergio Caputo nelle orecchie - Marcello me ne aveva fatto un intero cd, dopo aver visto che quella musica mi metteva di un pacato buon umore - avevo diligentemente disteso sulla scrivania il contenuto di cancelleria della bustina di stoffa e, inflessibile quanto amorosa, ne avevo scelti solo pochi e preziosi elementi, che erano finiti, composti, a dar vita ad un nuovo tipo di astuccio: fine, giallo, a forma di banana.
Avevo un diario costruito tutto da me, in quell'anno di scuola; dei guanti tagliati senza le dita; creavo agli amici regali strani fatti di lana o di carta; scoprivo per la prima volta l'utilità sovversiva dell'ora solare, la magia dell'aria che entra nei pacchetti di caffè sottovuoto quando li apri e anche di essere allergica alla polvere.
Ero scarmigliata, sconnessa, saccente; ripiena come un uovo di buona volontà. E (ma questo lo suppongo soltanto) felice, pur senza saperlo.

Masticare un ricordo sbarazzino ed incostante come questo, come quello dell'astuccio a forma di banana riempito a colpi di note allegramente dolenti, fa bene ancora oggi? Sbaglio o riesco quasi a toccarla, quella lana ruvida dei guanti tagliati senza dita comprata dopo un pomeriggio al palaghiaccio di Fanano, che sognavo sempre di infilare tra altre cinque dita - magari altrettanto guantate - e invece, semplicemente, infilavo in tasca? E' solo suggestione o mi è venuta voglia anche adesso - adesso che sono le undici di mattina e non ho nessun libro da studiare per domani - di rendere più preziosa la mia giornata avvolgendo le mani intorno ad una tazza calda di the?

3 commenti:

  1. Hai il giusto spirito, lieve e benevolo, per masticare i ricordi. Presi nelle dosi corrette, sono la tazza di the che ci aiuta ad affrontare e accogliere sorprese e assurdità quotidiane. E nell'immagine di quella topina sconnessa con i guanti senza dita ritrovo la Tinni di oggi, con le qualità che rifulgono (la scrittura, ad esempio: il tuo blog è delizioso!) e quelle che posso solo immaginare. E, spero, altrettanto felice...

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  2. Compagno di viaggi e sventure, mi fai arrossire! Grazie dei complimenti. E ti dirò, credo che capirò se, ora, sono felice, solo guardando da lontano questo spiazzo, fra un po' di chilometri di strada. Buona felicità anche a te, comunque.

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    1. Grazie, mia cara...
      Del tuo commento mi piace soprattutto la parola "spiazzo", luogo aperto non meglio definito, per indicare questi tempi incerti, qui dentro e là fuori. In uno spiazzo, nel frattempo, aspetti gli amici alla partenza di un viaggio. Ti fermi se la macchina è in panne. Improvvisi una partita di calcio o un picnic. Consumi amplessi clandestini. Viva lo spiazzo :-)

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