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lunedì 9 settembre 2013

di ricchi, cammelli e crune

Di preciso, io mi ricordo la pioggia. Sì, è stato di certo uno di quegli infiniti giorni di pioggia succosa che ci hanno intirizzito da gennaio a fine maggio, in questo duemilatredici decisamente poco primaverato.
Pioveva e io accompagnavo un'amica a fare una cosa molto poco piacevole (per lei) e molto tanto bagnata (per entrambe); pioveva e bisognava lasciare gli ombrellini portatili (io avevo con me quello azzurro dal manico di papera, très chic) sotto il tavolino del bar a gocciolare, mentre ci si prendeva una pasta con cappuccio a mo' di premio per quella giornata difficile (per lei) e umida (per entrambe).
Pioveva e alla fine ci decidevamo ad uscire dal bar e faceva un freddo boia e mentre abbottonavamo i cappotti sempre comunque troppo aperti per tutto quel vento che tirava la pioggia, alè, si trasformava pure in pappetta nevosa: fanghiglia pungente che andava ad adagiarsi cattiva sul dolore (suo) e sull'influenza covata (mia).

Ecco, adesso mi arriva anche un altro dettaglio (a suo modo fondamentale): era giovedì. Ed il dettaglio è fondamentale perché, in quanto giovedì, quello era il giorno del mercato, nella cittadina biancomelmosa in cui ci aggiravamo, ferite (lei) e assonnate (entrambe). Era giorno di mercato ma, come prevedibile, nessun banchetto invadeva il corso lastricato di sassi (papposamente scivolosi, in quel caso). Nessun venditore. Nessun tendone.

Tranne uno.

Uscite dal caffè tenendoci a braccetto per non scivolare (oppure per scivolare meglio, in compagnia), avevamo incontrato a sbarrarci la strada un piccolo camioncino riadattato a banchetto, con una tettoia che era più la neve che ci entrava dai lati che quella che si fermava dall'alto: e vendeva fiori.

Fiori in mezzo alla tormenta di neve. O forse, per dovere di cronaca, dovrei piuttosto dire che c'erano cinque o sei mazzetti dubbiosi ed abbandonati e poco distanti, seduti, due individui imbacuccati che si guardavano intorno perplessi.

Ed è stato allora che la mia amica, facendo un passo più lungo del solito per superare la pozzanghera del suo dolore, si è fermata e ha detto: compro qualcosa, sono stati troppo eroici per non premiarli. Un mazzo di garofani, per favore. Sì, rossi son perfetti.




Poche sere fa uscivo da un ristorante dove avevo goduto di una delle pizze più buone da un bel po' di tempo a questa parte, e avrei segnato a lunghi passi la strada verso casa se qualcuno, chiudendo un portafoglio sudato ed antico non mi avesse tirato per il gomito chiedendomi che dici, la lasciamo una mancia per il cameriere? In fondo siamo tutti nella merda uguale...



Da oggi basta, unduetrevia: voglio imparare anche io a lasciare mance e ricompense nelle tasche di ogni giornata, di ogni persona, di ogni dolore. Almeno un euro: e se son di buonumore anche due.

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