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sabato 4 giugno 2016

Sono ancora capace?

Non ne ho la minima idea.

Però so che stasera ho la febbre - anche un po' altina, tra l'altro -  dopo forse interi anni che non mi veniva.

So che questo pomeriggio ho sentito delle parole aperte, dense di fiducia e di spensierata aderenza alla vita e che a pronunciarle è stata una persona di ventisei anni, mentre io, oggi, di anni ne ho trentadue (scriverlo fa quasi tanto male quanto dirlo, eppure è così).

So che vorrei tornare un poco, per qualche istante, alla Tinni di sei anni fa, con tutti i suoi guai e la sua fottuta voglia di correre sotto alla pioggia, con i vestiti rattoppati di lacrime e le dita veloci sulla tastiera.

E per tornarci, sono partita da qui. Quanto durerà questo viaggio all'indietro, in questa serata in cui sembra non voler mai venir meno la luce e il cellulare si intasa di notifiche di alunni di quinta esagitati per l'esame?

Forse fino a domattina.

Forse è già finito.

Forse, quando mi sarà passata per davvero questa febbre profonda che mi logora e mi paralizza le budella da un tempo altrettanto lungo rispetto a quello in cui sono stata apparentemente sana, mi alzerò dal letto umidiccio di conformismo e non avrò più né ventisei anni né trentadue (ahia), e il solo numero che avrò il diritto di pronunciare a testa alta sarà quello dei morsi di pane e marmellata con cui addenterò la mia colazione.

Che ogni istante di esistenza rappresenti per voi la colazione della vostra vita, cari amici, ché, come tutti sanno, è anche il pasto più importante della giornata, indipendentemente che andiate per i trenta o per i sessanta (morsi di panino, ovviamente).





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