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venerdì 25 agosto 2017

(in)certezze postali

Ricordo vacanze estive lunghissime, durante la mia infanzia.
Pochi compiti assegnati, sgranati lungo i tortuosi sentieri di quei giorni deserti, a riempirne almeno le periferie. Nessuno sbuffo, niente lamentele; mi mettevo alla scrivania e, semplicemente, ridavo dignità ai materiali della mia cancelleria, reimparando l'importanza di linee e quadretti, e riaccogliendo nel disordine scomposto dal vento estivo concetti come resto, riassunto, forma, prodotto: idee pulite e dai contorni netti, che mi aiutavano a trovare me stessa in mezzo a tutto quello spazio vuoto.

Ricordo un caldo buono e non troppo soffocante. Ma vivevamo in collina.

Ricordo attendere seduta sul pavimento fresco il suono buono della citroen AX di ritorno dal lavoro di mio padre, e confonderlo sulle prime con altri rumori - una motocicletta, il camioncino bianco del vicino.

Ricordo liti prima di partire per i"grandi viaggi" (Valle d'Aosta, Gargano) e liti al nostro ritorno. Pochi film la sera in televisione, e tante passeggiate dopo il tramonto in direzione bocciodromo, con o senza pattini ai piedi.



Ma soprattutto, ricordo il rapporto con la posta ordinaria.

In quella dilatazione temporale priva di ogni notifica, impegno, autonomia e multimedialità, l'appuntamento con la possibile visita del postino scandiva ogni mia giornata feriale con compunta e variopinta speranza.
Già dalle undici cominciavo a colorare i minuti del tessuto bianco che avvolgeva le ore con il ripasso mentale delle missive che avrei potuto ricevere di lì a poco.
Chi aspettavo, quel giorno?
Cartoline dalle amiche sempre più in ferie di me; una risposta dalla pen-friend trovata tramite la scuola - una spagnola che scriveva lettere inglesi in una grafia simile allo script; notizie dalle bambine che avevo conosciuto l'estate precedente: sarebbero salite a Torgnon anche il prossimo luglio?
E poi ancora: cartoline di adulti, amici dei miei genitori, giornalino scout, abbonamento di Minnie and company, informazioni sul premio della raccolta punti dello yogurt Yomo. 
Tutto sarebbe stato accolto con eguale entusiasmo, scartato con voracità e poi macinato in ogni sua lettera e segno d'interpunzione per le due ore successive.

Purché non fosse la CGIL che scriveva espressioni incomprensibili all'attenzione dei miei genitori. O il bollettino dei loro stipendi. In quei casi un velo di delusione ingrigiva per un attimo l'arcobaleno di quel rito, prontamente rinverdito dall'importanza che, comunque, mi attribuivo da sola nel rientrare in casa e comunicare a mia madre che era arrivato qualcosa, qualcosa di importante che io e solo io le stavo per recapitare in mano.

Eppure, ripensandoci, anche quando non arrivava niente restava qualcosa nel cestino della mia speranza frustrata.

Sentivo avvicinarsi l'inconfondibile scoppiettìo del motorino di Poste italiane, attendevo fremente di percepirlo rallentare (accadeva sempre, perché qualcuno che riceve la posta, in un condominio, c'è tutti i giorni), mi precipitavo saltellante fuori dal portone, giù per le scale, e quando arrivavo al cancelletto di ingresso il postino, con quel suo sorriso simpatico e gioviale, di solito non c'era già più, chino ormai sopra la cassetta del vicino di casa. Meglio così: non avrebbe intercettato la scintilla di delusione al trovare il nostro buchetto vuoto come due ore prima, e io non mi sarei sentita stupida per essere corsa fuori così precipitosamente.

E dunque che cosa rimaneva, alla Tinni di allora, quando nessuno lasciava un segno scritto firmato e indirizzato a lei?
E' presto detto, per quella mente di bambina che ho avuto la fortuna di ritrovare in me, pochi giorni fa, dopo aver sottoscritto un paio di servizi newsletter ed aver sobbalzato di nuovo, come allora, al riceverne telematicamente qualche segnale: un quadratino in più di certezza che, se quel giorno nessuna lettera era giunta, il giorno successivo la probabilità di ricevere affetto cartaceo sarebbe leggermente aumentata.

...A meno che non fosse sabato!


Buone lettere, cartoline, e-mail, newsletter, messaggi in bottiglia a tutti voi.

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