Un sacchetto di biglie fatto di juta.
O un mazzo di cannucce colorate.
Entrambi legati e chiusi da un nastro rosso brillante.
Oggi la felicità me la immagino così.
Un nastro rosso brillante tiene in piedi le cannucce, strette una sull'altra: solo sfilando il fiocco e aprendo il nodo, con un colpo preciso di pollice e indice, le cannucce si aprono al mondo e al cuore che le contiene, sprigionando il loro liquido colorato.
Ma cosa succede quando non ci sono pollici e indici a sfiorare con maestria quel docile legaccio?
Oggi la felicità me la sento dentro così: come un mazzo di cannucce ancora in piedi, serrato e compatto: una promessa di allegria.
Le cannucce sono tante, e tutte di colori diversi: il colore di un successo personale, quello di un acquisto importante, la sfumatura di un nuovo inizio e tutte le tonalità di uno stimolante percorso lavorativo. Sono tante: non sono mai state così numerose in un giorno solo.
Eppure.
Eppure prima sentendo questa canzone mi sono messa a piangere.
Che cos'è, esattamente, quel laccetto rosso che comprime la mia gioia dentro gli spigoli di uno stomaco contratto?
L'età adulta? La domenica del villaggio? La sete di approvazione? La costitutiva solitudine dell'individuo (nonché dei numeri - e dei violini - primi)?
Le mani per scioglierla e scongelarla potrebbero essere altre che le mie?
Forse solo il tempo - ingolfatosi all'incrocio di questo profumato settembre con il primo anno scolastico da prof di ruolo - sarà capace di un tocco abbastanza leggero e sufficientemente preciso.
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