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domenica 14 aprile 2019

Riparare ed essere riparati

Poi, però.

Poi però passa del tempo, come tra il primo ed il secondo post di questa coppia narrativa, e anche le finestre di Tinni - nonostante i doppi vetri - cominciano a tremare quando un vento freddo scuote le case del paese e porta il gelo improvviso a metà di aprile.
Poi però, nonostante gli interstizi tra le varie riparazioni - i secondi tra un'infilata e l'altra dell'ago, i centimetri tra un passo e l'altro lungo il vialetto delle casupole da sistemare - siano pochi e brevi, capita che anche lì, facendosi spazio a spallate e strattoni, entri ogni tanto un po' di dolore.
Poi però, a forza di dire agli altri che sì, vanno bene così come sono, Tinni perde la voce per dirlo a se stessa, e si ritrova la casa e l'anima un po' vuote, alla fine delle sue rumorose giornate, dalle otto all'una.

Tinni arriva in casa, chiude la porta dietro di sé, si accoccola in un angolo del pavimento, sgranocchia una galletta di riso scondita e decide di rimanere lì, ferma, ad ascoltare il rombo del vento sui vetri, sempre più fragili, pensando: "non ho voglia più".

Che fare?

La mattina seguente la sveglia del cantiere suona puntuale alla stessa ora, e Tinni ha appuntamento in una casa per spiegare Manzoni e riannodare qualche filo penzoloni, su di un lembo di stoffa che la volta scorsa le era apparso slabbrato.
Entra col volto stanco, predispone gli operai in cerchio intorno a sé, apre lo zainetto - nuova carriola - ed all'improvviso si accorge che il giorno prima ha dimenticato di riempirlo. Niente libro di Manzoni, niente cassettina con ago e filo, niente scotch, niente colla stick.
Il peso del groviglio dei suoi pensieri si era confuso con quello degli strumenti di ogni giorno.

Che fare?

Prof, le presto il mio, se vuole. La voce di qualcuno che di solito non si sente mai spunta dal fondo dei ranghi operai. Va bene, facciamo così: io leggo e voi ascoltate.
Non ha più nulla di pronto, lei che di solito programma preliminarmente ogni cucitura e tutte le righe, e allora pur di sopravvivere lungo le due ore insopprimibili si affida a quello strumento di cui normalmente tanto diffida, tirando a fare le dieci.
Siete pronti? Io comincio.
Le parole altrui scorrono grigie sulle note della sua voce, tanto che in poco tempo Tinni smette di farci attenzione. Il groviglio doloroso vede da lontano, dalla sua postazione di agguato dentro lo zainetto, che la mente è libera, che il bersaglio è facile, che è il momento di attaccare almeno i margini del cervello, e si mette in cammino, strisciando muto lungo le pareti della casa.

Poi però.

Quando ormai è arrivato sull'orlo dell'anima, che le sembra sgombro e fragile al punto giusto, all'improvviso un involucro duro di vetro si erge invisibile a separarlo dalla méta. Da dove viene? chi ha costruito questo muro inflessibile ed immateriale?

E' il silenzio della classe.
Succede infatti che Tinni, a forza di leggere parole monche condotta ormai dalla corrente di una pagina autonoma, ha finito per cullarsi non tanto dentro a quei termini che da tempo hanno smesso di dirle qualcosa, quanto piuttosto dentro alle pieghe confortanti e rispettose di un silenzio che, rispetto ai giorni normali, oggi si è fatto perfetto.
La classe, che ha respirato fin dal suo ingresso - senza capirlo - il peso del groviglio che le ancorava lo zainetto a terra, ha tacitamente deciso di cucirle intorno un cuscino più morbido del solito: ciascuno ha messo da parte i propri strappi, le cose rotte sono state infilate alla bell'e meglio sotto i banchi, e gli operai, semplicemente, hanno scelto la quiete.
Tinni si risveglia da questo torpore e sono già le 9.55: il groviglio non ha fatto capolino nemmeno una volta, le pagine del libro si sono ammonticchiate diligentemente una sull'altra, le occhiaie ammorbidite, la fame è ritornata.
Vuole una patatina rustica, prof?

Ebbene, allora: insegnare non è costruire, no, ma non è nemmeno, univocamente, riparare. 
Insegnare è riparare ed essere riparati: un po' per ciascuno, secondo i bisogni, e le capacità e i pacchetti di dolore di ognuno di noi.

E adesso che ha imparato a starci attenta, Tinni si accorge che quasi ogni giorno i suoi bottoni e i suoi orli e le fessure del suo pavimento sono minuziosamente ed impercettibilmente accomodati.
Le risate convulse delle alunne tra loro prima di una prova temuta le incurvano le labbra in un involontario sorriso, sussurrandole pacatamente che è questo l'unico modo per andare incontro ad una paura.
La testa che si china annuendo di fronte ad un risultato insufficiente ma meritato, e poi subito dopo si rialza dignitosa e composta, riproponendosi di far meglio, cura più che ogni dose massiccia di antidepressivo.
Le domande, da quella profonda e stupefacente sul confronto degli eroi manzoniani e foscoliani, fino al posso andare in bagno ché poi all'intervallo c'è la fila, la mettono in condizione di cercare dentro di sé risposte chiare, di spazzare via la polvere dagli angoli e di aprire la porta ad una luce nitida.
Il genitore che resta in fila due ore, in piedi, per sedersi anche solo qualche istante di fronte a lei e stringerle la mano per dirle grazie; i passi dall'ultimo banco alla cattedra, esitanti, durante l'intervallo, per venire a raccontarle qualche banalità avvenuta nel pomeriggio precedente; il rispetto di uno shhh sibilato alla classe quando i miei occhi invocano la pace. Tutto questo cura, cuce, riempie, allevia, ripara.
E' il mestiere più bello del mondo, ve lo avevo detto mai?


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