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martedì 17 settembre 2019

Anniversari (Caro Manfredo)

La mia scuola ha qualcosa da festeggiare: sono ottant'anni che esiste.
Qualche mese fa mi è stato chiesto di scrivere un pezzo sulle pagine dell'opuscolo dedicato, pubblicato e distribuito per l'occasione. Lo appoggio anche qui, come tutto ciò che esce dalla tastiera di questo computer e che mi dà gioia rileggere.

(W la squola.)


Caro Manfredo,
sono ormai ottant’anni che esiste una scuola intitolata alla tua memoria e nel prepararci ai festeggiamenti qualcuno di noi ha avuto la curiosa idea di venire a chiederti come stai.
Ottant’anni, sì: precisi. Sappiamo contare bene, perché la scuola è nata come liceo scientifico e ha già conosciuto diverse generazioni di irriducibili insegnanti di matematica. Sono solo ottant’anni e, no, non si tratta dell’Accademia Militare di Modena, che pure tu hai gloriosamente contribuito a fondare ben centosessant’anni fa; forse la notizia ti deluderà, ma siamo un semplice liceo di provincia, nella tua città natale, e di militare i nostri studenti hanno ben poco, se si eccettuano certi eccentrici pantaloni col cavallo basso. Pressoché nessuno imparerà a sparare con un fucile o marcerà sudando sotto un elmetto; non saranno certo in molti a potersi cucire gradi sulla divisa e forse solo uno sparuto numero di loro saluterà il proprio superiore con un gesto marziale della mano, mettendosi sull’attenti.
Tante cose sono cambiate da quando c’eri tu, sulla scena del mondo, caro Manfredo. Non mi è ancora ben chiaro quanto tu sappia di ciò che, nel frattempo, è accaduto nella terra dei vivi, e cercherò dunque di dosare con prudenza le notizie: in fondo, sono qui solo per chiederti come stai, non certo per provocarti sconvolgimenti esistenziali.
L’esercito italiano, ad ogni modo, esiste ancora e questo contribuirà a rassicurarti, ne sono certa. Anche l’Italia esiste ancora, e con qualche (consistente!) pezzo in più rispetto a quando l’hai lasciata. Quindi, innanzitutto: grazie. Grazie per aver dedicato il tuo tempo a combattere perché questa nazione esistesse e perché Carpi ne facesse parte. Grazie anche per aver immaginato un luogo come l’Accademia Militare: negli anni della mia istruzione superiore, a Modena, le finestre del liceo affacciavano proprio su quelle del Palazzo Ducale e, durante le faticose ore di latino, indirizzare ai cadetti un saluto fugace o cuoricini disegnati su pezzetti di carta rappresentava per noi uno dei diversivi più eccitanti. So che probabilmente non lo immaginavi tra i benefici potenziali del tuo ambizioso progetto, ma questo è proprio ciò che contraddistingue le Grandi Invenzioni dell’Umanità, i cui effetti spesso travalicano – con autonoma genialità – le intenzioni dei loro ideatori.
Un’altra cosa che credo ti farà piacere sapere è che nel nostro liceo – l’unico in Italia a portare il tuo nome, ci tengo a sottolinearlo, e quindi, con un buon margine di probabilità, anche l’unico al mondo e il solo nell’universo – molti studenti, oltre alla matematica, studiano il francese e lo spagnolo: tu, che hai visto Francia e Spagna accogliere il tuo esilio e contribuire non poco alla tua formazione (per non parlare dell’amore!), non potrai che approvare questa scelta, con quel severo cipiglio che abbiamo imparato a riconoscere dalle poche tue immagini che sono giunte fino a noi. Occorre però precisare che si insegnano anche l’inglese e – siediti prima di continuare a leggere – il tedesco. Devi capire che l’Austria da tempo non è più nostra nemica e non è neppure più un impero, ma un semplice staterello un po’ schiacciato, da quando – e lo preciso sapendo che fremerai di orgoglio – ha perso una guerra grande e sanguinosa nella quale noi, cioè l’Italia, abbiamo incredibilmente scelto di stare dalla parte vincente; oggi, addirittura, Italia e Austria siedono fianco a fianco, insieme a tanti altri paesi, in un grande Parlamento che si chiama Europa.
Tradimenti, ostilità, contestazioni, nemici e divergenze politiche popolano ancora il mondo, quello con la M maiuscola e anche il nostro piccolo universo scolastico. Nuovi Garibaldi e diversi Cavour occupano i posti che contano, mentre la maggior parte di noi siede su sgabelli in ultima o penultima fila, o nel banco che dà sulla finestra, con mano pronta ad afferrare gli scampoli di felicità che la vita ci offre, e spesso in maniera inattesa.

E tu? Quando sei stato davvero felice? Cronache e storie che si trovano su internet – un’immensa enciclopedia condivisa da tutti gli abitanti del mondo, probabilmente la cosa che più ha rivoluzionato le nostre vite negli ultimi vent’anni – ci parlano solo di battaglie vinte e discussioni ministeriali, ma io voglio credere che, per te come per noi, i momenti più belli dell’esistenza siano stati – anche, e soprattutto – tra le pieghe delle grandi date, nascosti in mezzo alle ricorrenze più roboanti, ai margini delle vittorie e nei cantucci dei riconoscimenti.
Passeggiavi anche tu sotto i portici di piazza dei Martiri (anzi no, piazza Maggiore ai tuoi tempi), nelle afose estati emiliane, sentendoti piccolo e schiacciato di fronte a quell’infinito spiazzo assolato, eppure fiero, da carpigiano, di farne parte? Capitava anche a te, quando il sole scende e rade la campagna allungandosi come a volerne toccare le punte, di camminare fuori dal centro abitato e di spingere quasi allo stesso modo lo sguardo lontano, da tutte le parti, per godere di quella terra bassa, uniforme, rassicurante e addomesticata, sempre amica a se stessa? Ti ritrovavi forse, ogni tanto, durante le marce, ad ascoltare il ritmico rumore dei passi altrui, indissolubilmente mescolato al tuo? Percepivi – come accade a volte, giusto per un istante – in quel coro muto di sforzo comune un guizzo di energia felice, per quegli io che con naturale armonia sembravano diventare un noi?
È un mondo stravolto e bizzarro, caro Manfredo, quello in cui oggi viviamo, così distante dai tuoi orizzonti che devo pesare ogni parola prima di scriverla. Sono sillabe immateriali, volatili, irraggiungibili, che stendo una a una su un supporto che non è più carta e con un tratto che non sa più di grafite.
Per raggiungere la scuola, ogni mattina, studenti e professori percorrono strade intitolate a eventi cruciali cui non hai potuto assistere (al 24 maggio 1915, per esempio, avresti di certo partecipato con entusiastico impegno) o a personaggi che hanno cambiato i contorni del nostro pensiero in un modo che non potevi prevedere (Giovanni XXIII – un papa! – oppure altri, dai nomi impronunciabili e in idiomi stranieri, come Einstein, Lenin, Roosevelt); il nostro andirivieni quotidiano celebra martiri che per tua fortuna non hai dovuto piangere: per chi viene da fuori, verso la campagna, c’è via 29 maggio, che ricorda un terremoto violento e impietoso di soli sette anni fa, mentre in città rimarresti forse perplesso di fronte a vie dedicate alla sedicenne Anna Frank o a un magistrato della lontana Sicilia, che di cognome faceva Falcone. Industrie, capannoni, parcheggi ed enormi ammassi di negozi chiamati centri commerciali punteggiano oggi un panorama che stenteresti a riconoscere.
Tutti i giorni, da settembre a giugno, adolescenti tra i quattordici e i diciannove anni si alzano, sbadigliano, bevono un caffè e si dirigono assonnati, percorrendo questa nuova Carpi, verso una scuola statale e gratuita, dove non ci sono generali (o meglio, dove ce n’è uno, sì, ma che porta i tacchi e ama dipingere i muri di giallo) né uniformi; non ci sono reggimenti, armistizi, brigate. Tutti i giorni, da settembre a giugno, piccole formiche dai vestiti variopinti varcano un cancello che reca il tuo nome, Manfredo, per vivere cose che ti lascerebbero di sicuro a bocca aperta: fotografie, disegni, giochi, canzoni, merende, risate. Eppure, caro Manfredo, a loro modo, tutte queste strambe formichine fanno qualcosa che anche tu, vicino e diverso, sapresti riconoscere: brandendo nella destra non fucili ma penne, cellulari e mani altrui, studenti e professori, ogni giorno, combattono una piccola ma energica battaglia. Per essere ogni giorno un po’ più uniti, un po’ più liberi; ogni giorno un po’ migliori.

Tutto sommato, quindi, noi stiamo bene, qui al Liceo Fanti, e speriamo che anche per te sia lo stesso.

Buon compleanno a noi e anche un po’ a te.

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