Il giorno della prima prova dell'esame di maturità del 2003 Tinni indossava una gonna lunga fino alle caviglie, rosa con i fiorellini azzurri, di tessuto leggero ed increspato. Si trattava di uno dei suoi primi e goffi tentativi di uscire dal coro della moda modenese e di costruirsi - bottone su calzino - un'anagrafe vestiaria che fosse un po' più soltanto sua (e della sua paziente madre, che l'aveva confezionata a partire da uno scampolo di anonima stoffa comprata al metro).
Che cosa indossasse, invece, il giorno della prima prova dell'esame di maturità del 2017, e del 2018, e del 2019, e poi di nuovo lo stesso giorno del 2022, del 2023 e del 2024, Tinni non se lo ricorda.
Ma sa, con un certo grado di convinzione, che anche il giorno della prima prova dell'esame di maturità del 2025 ha indossato una gonna leggera e lunga fino alle caviglie (non rosa, però: verde).
Uno dei pochi poteri magici conferiti dal fatto di poter svolgere un numero infinito di volte l'esame di maturità - oltre al quarto d'ora di notorietà su whatsapp, nel pomeriggio del tema, quando tutti, anche i più lontani conoscenti, ti scrivono per chiederti un parere sulle tracce uscite - è che, ogni anno, torno ad intravedere quella gonna rosa a fiorellini azzurri: la vedo svolazzare per qualche attimo tra un banco e l'altro, quando un alunno allontana la sedia dal posto per sfruttare la sua manciata di attimi di bagno.
Ma è questione di secondi: e anche se mi alzo dalla postazione imponente dei docenti e percorro quei corridoi di tensione facendomi largo tra tremori e raccoglimento; anche se approfitto di un posto lasciato vuoto dal primo che ha ceduto alla stanchezza ed è uscito poco dopo la terza ora; anche se mi siedo in mezzo a quei volti sudati e provo a respirare la loro stessa aria di ora o mai più, la gonna rosa increspata a fiorellini non la vedo più.
Mi resta la gonna verde di raso, comprata l'anno scorso ai saldi: indubbiamente più elegante, valorizza in modo molto più efficace la mia silhouette, al tatto è più confortevole e nessun armocromista al mondo potrebbe preferirla a quella rosa confetto.
Però.
Quando sei adolescente fin nel midollo, e la sofferenza angosciosa del domani ti si avviluppa addosso come un sacco del pattume, non sussurra anche, nello stesso momento, al tuo cuore che tutto appare ancora possibile?
E' forse da pazzi invidiare quelle mani nervose e pallide che stringono le penne fino a fondere sudore e inchiostro - e il tutto lascia una scia di fatica impotente sul foglio ormai stremato? Quelle stesse mani candide, senza bruciature del tempo, che ancora non sanno di chi stringeranno i palmi tra loro e che quindi possono rispondere, chiedendoselo, "chiunque"?
La gonna rosa a fiorellini azzurri era nel mio armadio anche nei mesi in cui, per le prime trepidanti volte, prendevo in mano un volante e provavo a guidare. All'epoca avrei dato qualsiasi cosa per essere sola, dentro quell'abitacolo; senza mio padre urlante e nervoso, senza istruttore, senza esaminatore: solo io e la mia borsa, appoggiata come i grandi sul sedile di destra. E poi, da un giorno all'altro, era stato così. Tinni guidava con la sola compagnia della borsa di tela dell'equo e solidale e improvvisamente si insinuava - tra le pieghe increspate della sua gonna rosa - il desiderio che, invece, sul sedile del passeggero ci fosse Qualcuno. Passavano i mesi, placidi e studiosi, e tutto ad un tratto Tinni si ritrovava coi palmi sudati e la tremarella a sorpassare due camion di fila sull'autostrada del Brennero, mentre al suo fianco - proprio lì dove lei lo desiderava - sedeva Qualcuno che le urlava di non rallentare, MAI!, e che al contempo si rifiutava di prendere il suo posto perché questa è la vera parità dei sessi. E allora, di nuovo, quel desiderio lancinante, quasi di aria: perché non posso esserci io, ogni tanto, seduta di fianco al volante, mentre Qualcuno guida sereno? Di mesi questa volta ne passavano un po' di più, ma anche in quel caso, dopo un'attesa come di uva matura, eccolo lì: ecco Qualcuno che guidava sempre lui, in autostrada, senza velleità femministe né rimostranze smozzicate e però Tinni a quel punto volgeva lo sguardo all'indietro e si chiedeva, come forse avrete già capito, ma non sarebbe più bello starsene in tre, qui dentro alla panda rossa? E la panda, paziente e puntuale, si prestava ad accogliere sul sedile posteriore un seggiolino per neonati dal montaggio quasi paragonabile a quello della Tour Eiffel, e si immaginava così che, finalmente, avrebbe visto la sua padrona guidare contenta. Macchè. Il neonato in questione rendeva quei viaggi un'esperienza molto simile all'inferno: ogni decina di chilometri, all'inizio, occorreva accostare e allattarlo. E poi, quando le parole prendevano il posto dei pianti, Tinni non poteva più nemmeno ascoltare la sua musica in pace: a regnare indisturbati erano ormai mp3 di fiabe, domande a raffica, rimostranze e richieste incessanti di attenzione. Quanto avrei dato, allora, per essere sola, dentro quell'abitacolo: senza figlio, senza marito, senza ruoli, senza liste né scadenze. Solo io e la mia borsa - di marca francese - appoggiata come gli adolescenti sul sedile di destra.
Come si fa ad accontentarsi, a capire che ciò che abbiamo è abbastanza per la felicità? - scriveva un mio alunno su una strisciolina di carta, all'inizio di questo anno scolastico, poco dopo che avevo chiesto loro di domandare alla Luna - la stessa luna muta del pastore errante dell'Asia - ciò che di più importante avevano nel cuore e poco prima che infilassi tutti quei foglietti in una vecchia scatola da scarpe, sigillandola e dimenticandomela fino a poco fa.
La gonna verde di raso ha reso un po' più di giustizia alle mie gambe tozze, questo forse sì, ma non mi ha trasformato in Luna, né tantomeno in divinità. Però la settimana scorsa guidavo all'alba verso il mare e avevo deciso - contrariamente all'ultimo desiderio espresso tra quelle pareti - di portarmi dietro anche Guido, per la prima volta, all'interno di un mio piccolo rito tanto prezioso quanto fugace. Ero in autostrada con i palmi sudati e la tremarella, e per evitare il consueto inferno prima di partire mi ero fortemente raccomandata silenzio e obbedienza (signorsì signore - aveva risposto lui come fa quando capisce che la posta in gioco è più alta del normale). Guidavo quindi la panda grigia zigzagando tra camion e visioni di morte spiaccicata e all'improvviso mi rendevo conto che, a dispetto del passeggero sul retro, un'irreale quiete regnava dentro quel piccolo mondo di sedili. Sbirciavo allora nello specchietto e intercettavo il volto di mio figlio: prima concentrato sul panorama e poi, in un istante, aperto in un sorriso intenso e raggiante.
Sei felice, Bogigio? Chiedevo in qualche anfratto di spazio tra un sorpasso e una coda.
Sì, perché mi è venuta in mente la scena di Toy Story quando il dinosauro gioca al computer: mi fa molto ridere.
Ecco allora cosa risponderebbe la gonna di raso verde, oggi, alla domanda muta ed eterna che di certo, potendola formulare, le farebbe la gonna rosa a fiorellini azzurri, sorella vicina e diversa delle decine di pantaloni che le siedono accanto, anno dopo anno, su quei banchi sdruciti.
Non sempre avrai Qualcuno - al volante, sul sedile del passeggero, su quello posteriore o in tutti gli spazi che la tua panda potrà accogliere senza violare il proprio tagliando; ma basteranno quattro pareti aperte, il panorama che scorre, un paio di occhi per potertici perdere dentro e, soprattutto, una scena schietta e pura, nella sua semplicità, pronta per essere estratta dal mazzo dei ricordi. Quella sarà, allora e per sempre, la tua felicità.
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