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giovedì 2 dicembre 2010

Ebbenesì, la Riforma, anche qua

Ho tenuto per me tutti questi giorni la mia opinione sulla riforma universitaria e sulle accese proteste di studenti e ricercatori, condividendola solo con i fedelissimi, sostanzialmente perché mi sentivo un po' una mosca bianca e poi perché non mi ritenevo abbastanza preparata, loquace, corretta, sì da riuscire ad argomentare il mio parere in maniera efficace (Tinni è sempre stata un poco codarda, nella divulgazione delle idee meno consensuali).
Poi, come al solito, è arrivata Lei: l'Ipazia, a metterci la sua saggia pulce nell'orecchio, e, soprattutto, a linkare, per il pubblico beneficio, il lucido ed ineccepibile articolo di Irene Tinagli sulla Stampa, dove finalmente ho trovato, come se qualcuno avesse srotolato i garbugli dei miei pensieri e li avesse intrecciati a formare una colorata corona decorativa, esattamente tutto ciò che avevo sempre pensato in proposito. Lo consiglio pertanto a chiunque voglia farsi un'idea - un'idea che, come l'Università del resto, non sia né di destra né di sinistra - su quello che il Governo ha appena approvato. (Sì, lo so, arrivo dopo la polvere, l'hanno già linkato cani e porci, ma fatemi fare il mio post impegnato ogni tanto!)

5 commenti:

  1. Madò, addirittura la maiuscola! Mi fai arrossire! :-)
    IpaziaS

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  2. Quel link è stato una delle poche cose chiare e sensate che ho letto sulla protesta e sulla riforma!

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  5. Non so se sono un cervello, ma sicuramente di fughe all'estero ho una certa esperienza: se volete un esempio di ricercatore precario, beh, contattate il sottoscritto.

    Bene, sarà una provocazione, ma io amo questa riforma. Non perché sia buona o perché sia pensata: non credo che questo governo abbia la capacità strategica di riflettere sulle cose. Io amo questa riforma per un'altra ragione. L'Italia è piena di bravissimi ricercatori, con pubblicazioni di livello – a volte molto migliori di quelle di alcuni ormai in cattedra – che non faranno mai la loro carriera all'Università.

    Questo è un fatto. Le ragioni sono molteplici. Il merito non conta nulla, anzi, il lavoro scientifico è in realtà un fardello per chi ambisce a scalare la ardua scala della carriera universitaria; andare all'estero, che dovrebbe essere uno scalino primario per chi voglia fare questo mestiere, è in verità un handicap: vai via, così altri restano e scalano la montagna al posto tuo.

    Sono stufo di una Università dove si parla solo del numero delle pubblicazioni e non della loro qualità, sono stufo di vedere persone pubblicare sempre sulle stesse riviste, sono stufo vedere – loro malgrado – persone che, pagate per fare ricerca, fanno lavori di segreteria, in quanto i segretarî non fanno nulla, sono stufo, infine, di vedere concorsi per dottorati, assegni, ricercatori, etc. fatti inter nos, con commissioni di amici che giudicano gli amici.

    Quando un edificio è marcio dalle fondamenta, non si fa di nuovo l'intonaco, ma lo si abbatte e lo si ricostruisce. Il male dell'Università sono le migliaia di persone (portinai, segretarî, ricercatori, professori, tecnici amministrativi, bidelli, funzionarî, bibliotecarî) pagati per non fare nulla, per essere spesso assenti o in malattia. Questo costringe anche le persone oneste a fare cose che oneste non sono per poter continuare a campare.

    Cosa c'è di strano a fare concorsi nazionali per ricercatori, magari con commissioni estere? Avete paura di non passare? Io non ho paura!

    Che cosa c'è di strano in una figura di ricercatore a tempo determinato? Avete paura di non essere assunti in séguito, perché avete lavorato poco! Io non ho paura, lavoro anche quando non sono pagato, figuriamoci quando mi pagano!

    Che cosa c'è di strano, se non tutti i ricercatori diventeranno associati e ordinari? Avete paura che sia scovata la vostra poca intelligenza? Io non ho paura, perché, se non sono all'altezza del compito affidatomi, è giusto che cambi lavoro!

    Insomma, parafrasando Virgilio, io temo chi mantiene lo status quo, anche se mi porta dei beneficî.

    Nella mia esperienza, non sono tanto le persone che fanno l'Università a rendere il sistema malato (la gran parte di loro sono brave persone, intelligenti e grandi lavoratrici), ma è il sistema pachidermico in cui sono inseriti che fa loro ombra. Riformiamo l'Università, alleggerendola: troveremo i soldi e daremo le ali anche a chi oggi – precarî e non – non le hanno o le hanno perse.

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