Oggi non ho cose mirabolanti da raccontare.
Sarà che ho passato un allegro week-end di paura in preda ad ansie psico-fisiche che hanno esaurito le mie energie (e che per fortuna si sono rapidamente risolte facendomi tornare alla mente due versi di un poeta impareggiabile per conoscenza dei moti dell'animo umano), sarà che la calma interiore risultata dalla risoluzione di dette ansie ha rinsecchito la mia vena tinnicamente polemica, sarà che boh, fatto sta che non mi viene alla mente un'idea simpatica nemmeno a pagarla.
Però volevo salutare ugualmente i miei numeroserrimi lettori e lasciare un segno di me su queste labili pagine della rete, pertanto: Ciao.
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Anzi no, una cosa da dire mi è venuta in mente, che più che una cosa è una domanda: non pensate anche voi che l'attitudine della persona che vi sta a fianco durante lo svolgimento del vostro lavoro quotidiano (il vicino di tavolo in biblioteca, il collega della scrivania accanto, il compagno di banco e via dicendo) sia di vitale importanza per il corretto adempimento dei vostri obblighi? Mi spiego meglio: io, di solito, lo chiamo Modello di studio (dato il mio lavoro quotidiano che consiste nello stare seduta ad un tavolo di biblioteca a produrre "ricerca") e lo ricerco con tutti i miei sforzi, pur non riuscendo, se non in rari casi, a trovarlo e a tenermelo stretto per più giorni di fila: è una persona che si siede accanto a te e, nonostante possegga un computer portatile e una connessione ad internet, studia tutto il giorno, con pochissime pause-cazzeggio, un quasi nullo utilizzo di Facebook, una minimale consultazione di blog e giornali, un impiego pari a zero della chat. E tutto questo con una grande dose di semplicità e umiltà, non sbuffando, o dandosi arie da filologo umanista, o ancora peggio lamentandosi del carico di lavoro. Ecco, io, quando ho trovato un M.d.S., in quella giornata lì produco un casino: appena alzo la testa per una pausa, mi cade l'occhio sul suo schermo sul quale campeggia al 99 per cento del tempo una ligia pagina di Word, e, zac!, subito mi viene voglia di emularlo, di non farmi tentare dalle lusinghe di anobii o di Blogger bacheca, di rimettermi sul mio testo e di fare ancora un passo in avanti, e poi ancora un altro, fino alla pausa pranzo o all'ora di chiusura. Nulla di tutto ciò, invece, quando noto il mio compare alle prese con le foto della ex-fidanzata su FB, o con www.nuovetendenzedellamoda.it aperto, o con Skype che lampeggia per un nuovo messaggio istantaneo. In quel caso, mi dico: eh bhe, che male c'è? e anche io mi concedo una pausa internet, che poi si fa lunga, sempre più lunga, ed ormai è quasi ora di pranzare, aspetta che getto uno sguardo al blog dello Scorfano, e chissà cosa ha scritto oggi l'Ipazia e --bum, giornata sprecata.
Ecco, io mi chiedevo dunque se è così anche per chi fa lavori "veri", in un negozio magari, o in un ufficio: contano così tanto anche per voi i colleghi e la loro maniera di affrontare il lavoro?
E ancora: ma è poi giusto, farsi influenzare così tanto dagli altri? Non dovremmo avere la voglia o il senso del dovere insito in noi stessi, a prescindere da chi ci sta intorno?
Di nuovo Ciao, a tutti.
Lucrezio è Dio (metricamente è ancora un po' rozzo rispetto a quei fighetti di Virgilio e Orazio, ma li batte tutti comunque. Qui, secondo lo slang giovanile paesano, sarebbe definito così: -Oh, cioè, è il pezzo meglio!-).
RispondiEliminaEd è ancora più divino nel Libro V.
Adesso che ho fatto un commento inutile sono molto molto più felice.
Ciao Tinni. :-)
RispondiEliminanono, francamente quello che fa il mio capo (eh, è lui il mio collega d'ufficio e vicino di tavolo) non influisce minimamente sulla mia voglia di cazzeggiare tra blog (o su e.bay o altro). e se devo dirla tutta non sono nemmeno sicuro che stia lavorando: non vedo proprio lo schermo del suo pc (e lui non vede quello del mio)
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