La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un'altra persona. Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo; una vera maturazione non può tener conto del tempo.
(...)
La nascita di un'autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto, o appoggio, o rifugio presso gli altri, mai. (...) E quando, a ventisette anni, si arriva a "verità" così dure, ci si sente a volte disperati, soli e impauriti, ma anche indipendenti e orgogliosi. Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola.
Etty Hillesum, Diario, 1941.
La mattina non è mai stato un buon momento per Tinni: così come trova magico il momento che precede di pochi istanti il sonno, così Tinni fa una grande, grandissima fatica a relazionarsi con il minuto che segue il risveglio. Specie se nessuna sveglia è suonata e nessun impegno impellente ti chiama alla caffettiera e al wc.
Tinni sa che, giorno dopo giorno, dovrebbe svegliarsi con un sorriso, indossare il suo vestito migliore, fare una piroetta sul tappeto di camera ed essere tutto questo per se stessa. Ma si fa fatica, cazzo, una dannatissima fatica. Improvvisamente, quando è lì che si rotola nelle lenzuola cercando di acchiappare l'ultimo brandello di sogno come si caccia una farfalla con il retino, a Tinni sembra di essere un guerriero chiamato a combattere una battaglia epocale; e non un Achille o un Ettore, primi della fila, gloriosi protagonisti di gesta indimenticabili, ma piuttosto un Tersite, o, ancora peggio, un senza nome, uno di quelli che il cantore di Iliade II, prima del catalogo delle navi, dice che non potrà nemmeno nominare, uno della massa, uno che non ha lo scudo decorato o l'elmo brillante. Un soldato comune.
E allora ogni centimetro che occorre per tirarsi in piedi è pesante; allora la forza di gravità si sente come un macigno, allora oggi no, non mi alzo, cheppalle.
Ma ogni giorno, secondo più, secondo meno, alla fine Tinni si alza. E, detto fra noi, non l'ho ancora capito se si alza per stare contenta con se stessa o se fa solo finta. Forse non lo sa nemmeno lei.
Si alza, va in cucina, prepara il caffè e mentre guarda il latte freddo (di mucca) mescolarsi in mille sfumature al liquido scuro e bollente, riceve il messaggio di un'amica che, così, senza pretese, le scrive ti voglio bene. Tre banalissime parole che, non si sa bene per quale ragione trascendente, sono secoli che continuano, nella loro semplicità, a far star bene le persone.
Inzuppa una gocciola nel caffelatte e riassaporando questo gusto che sa di casa chiude gli occhi un secondo: vede per un attimo davanti a sé il mare, nella notte, con una luna che vi si specchia dentro e una lampara che lo attraversa. Li riapre e la gocciola è finita in un morso, il caffelatte si è freddato, il cellulare tace, ma la forza di gravità, intorno, è un po' meno efficace.
Che Tinni si faccia il caffè è già qualcosa... non hai parlato dei chili di zucchero che ci metti dentro, però: quelli sì che ti riducono la gravità.
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