Senza contare tutti quei gesti altrui che, in un istante e per un istante, mi fanno innamorare
degli altri.
Come quando una ragazza si spalma la crema sulle mani
affusolate accanto a me nel treno e lo fa con una nobiltà accurata che si sposa
alla perfezione con l’odore di agrumi della crema e con la pigra luce dell’alba
che avanza dal finestrino.
O come quando un padre si prende il figlio sulle spalle con
gesto deciso e sicuro e mentre il fagottino, dall’alto, ride incredulo, lui gli
tiene i piedi sgambettanti con le mani e sembra afferrare e stringere la felicità.
Mi innamoro sempre anche del modo che hanno le donne incinte
di sostenere la pancia con una mano e la schiena con l’altra, in una fatica
docile che le rende singolari, le rende luminose in mezzo al grigio dell’umanità.
E di come il mio principale sparge la mozzarella sulle pizze
ancora crude, dopo averla raccolta raschiandola dalla cassetta bianca, con le
mani a coppa, prima ai bordi e poi all’interno, e tutto risulta così armonico e
ben distribuito e ogni centimetro di gesto è esattamente dove dovrebbe essere.
E ancora, pochi istanti dopo, mi innamoro di come il mio collega che sta al
forno infila la pizza sulla pala, con un movimento tutto speciale che hanno
provato a far fare anche a me (con risultati prevedibilmente disastrosi) e che
è di spinta e poi di richiamo, e ricorda un corteggiamento spavaldo, una danza veloce
d’intese, e poi via nel forno, avanti la prossima vittima.
Mi innamoro, alle volte, di come certe figure si mettono i
capelli dietro alle orecchie, o di come tengono la sigaretta in mano, fuori da
un locale, o ancora di come intingono i biscotti nel latte. Mi innamoro,
tantissimo, di come le coppie si tengono le mani e del tocco leggero di chi
accarezza qualcuno che dorme, per sentirlo senza svegliarlo.
Mi innamoro e poi provo sempre a rifare io stessa gli stessi
gesti, e non mi vengono mai uguali e ci rimango anche un po’ male, di solito. Ma
pazienza.
Nessun commento:
Posta un commento