Incrociare per caso qualcuno che si conosce, in macchina, in strada, sul marciapiede, in un parcheggio, è come indossare magliette bianche appena comprate in un pomeriggio di sole che ci si era dimenticati che era fine maggio.
Non so dirvi, sinceramente, come mai ho questa fissa e questa passione per gli incontri fortuiti con gli sguardi già noti di amici e conoscenti: pare quasi che non abbia mai abitato qua, da come mi accendo per aver incontrato, mentre attraversava alle strisce e io le davo la precedenza in panda, Giulia con il suo casco di ricci allegri e poi, qualche strada dopo, il muratore silenzioso che lavora nel cortile di casa da qualche tempo.
Eppure io qui ci sono nata, e ci ho fatto scuole, risate, avventure, pianti e promozioni di ogni tipo.
Solo da poco, però - e questo è vero - solo da quando sono tornata da quella giostra danzante e tremenda che è stata l'ultima Parigi, solo da un anno a questa parte voglio bene a queste terre terremotate con il cuore allegro e l'affetto sincero che prima dedicavo soltanto agli individui, e mai ai luoghi (e di certo non a questi).
Insomma, oggi voglio bene a Modena ed ai suoi dintorni ordinati e diritti; ai suoi campi infilati uno accanto all'altro con il righello, alle sue strade pulite; ai suoi cassonetti, ai suoi tombini e ai suoi cartelli esatti; ai suoi cieli piatti e uniformi e pure un po' ai suoi motori rumorosi e puzzolenti, pensa te.
E incontrare qualcuno che conosco - ci ho passato anni di scout, magari, oppure gli ho stretto la mano ad un concerto, ho fatto passare il debito a suo figlio, ho riparato l'orologio da lui - mi dà un senso di pace e di esattezza colorata che è lo stesso che provo, tornando a casa la sera tardi, dopo il primo mese di vita qui, quando vedo che ormai le altre tre auto dei vicini, che avrebbero tutto lo spazio, tutto il diritto, tutta la libertà di parcheggiare dove accidenti vogliono - beati noi, gente di campagna - mi hanno lasciato quello che da un mese a questa parte si è lentamente trasformato nel mio posto, o meglio nel posto della panda. Quando vedo che, come un cesto di palline bianche rovesciate su un campo da golf, al mio ingresso dentro al micromondo di questo palazzo le pedine sono state un po' indecise sul da farsi, si sono consultate convulse per qualche tempo e poi si sono riassettate secondo nuovo ordine, lasciando a me ed alla panda il posto che ci eravamo scelte dopo i primi tempi di indecisione e volontà di esperimento. Dopo qualche giorno di indecisione e altrettanti di esperimento, io e la panda ci siamo scelti un posto poco comodo, ché è il più lontano dalla porta, ma romantico, perché oltre ad essere il più vicino all'albero, dalla finestra del bagno, quando sono salita di sopra, posso guardare giù a quella scatoletta rossa e farle l'occhiolino - darle la buonanotte, imprecare per la pioggia al mattino - e sentirmi meno sola.
Incontrare qualcuno che conosco, per queste strade che fino a poco tempo fa - e per ventisette anni di vita - non erano mai state mie, è come avere uno spazio di parcheggio sempre libero, sempre tuo, sempre pronto; accanto alla panda bianca della vicina e sotto all'albero di cui non ricordo mai il nome.
Ce n'è voluto, di tempo, eh, ma bentornata a casa.
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