Tutto è fermo, la domenica mattina; immobile e profondo come i respiri esalati dal letto quando ci si accorge - gioia avvolgente - che l'alba è lontana e ci si può rigirare tra le lenzuola calde ancora per tanto, tantissimo tempo. Si guida in macchina e si possono contare, una volta tanto, i volti scavati e leggermente rintronati che si incontrano nel senso opposto. I marciapiedi sono sgombri e il sole già estivo e diffuso ne è incontrastato padrone.
Sembra di percorrere i corridoi di un teatro abbandonato, la domenica mattina in giro per Modena; di essere arrivati troppo tardi anche per l'ultimo spettacolo - o forse troppo presto per il primo, chissà; di rimbombare tra spalti nudi e addormentati. E' bello e triste: sa di sbadiglio e di caffè sbruciacchiato.
Eppure no, eppure c'è un posto, la domenica mattina, dove nonostante le apparenze cova e vive e pulsa un'attività feriale; c'è una stanza, nel retro del teatro, dove le instancabili donne delle pulizie, le silenziose ed eroiche operaie dello straccio, continuano il loro mestiere senza dare mostra di averlo mai interrotto. E questa stanza è la stanza dei supermercati aperti la domenica.
Non sembra proprio possibile, a guardare da fuori le immobili superfici lucide e scure delle vetrate del grande magazzino: sarà chiuso anche questo - pensi - tanto che abbassi il finestrino e con fare rassegnato chiedi alla passante elegante con cane annesso scusi mi sa dire dove posso trovare un supermercato aperto?
Ma qui! - risponde lei annoiata indicando il palazzone alla nostra sinistra. E tu, sconfitta nella tua ansia interrogativa, non puoi far altro che sorridere autoironica e parcheggiare - ancora con un briciolo di perplessità attaccata alle unghie - negli appositi spazi, tra una riga bianca e l'altra, a 'pettine', come piace tanto a te.
E invece ha ragione lei, la passante annoiata con cane annesso. Perché ti basta sfiorare con la tua ombra già estiva e diffusa lo spazio circostante le porte scorrevoli perché, davanti ai tuoi occhi che ancora lottano con le lenti a contatto mattutine, si socchiuda e poi si spalanchi un universo parallelo di carrelli ed ordinaria efficienza.
Ebbene sì, la coop è aperta.
Con buona pace di tutti coloro che lottano in senso contrario, ecco, devo ammetterlo pubblicamente, a me i supermercati aperti di domenica piacciono tanto.
Innanzitutto perché, dentro, vi regna una frenesia a ritmo di danza classica che non ha nulla a che vedere con quella settimanale; tutto è impercettibilmente più lento del normale; tutto è impercettibilmente più pacato, più comprensivo, più soffuso. La gente alle casse riflette a voce alta, invece di masticare orari e ordini al cellulare. Ci sono solo un paio di file attive, ma la coda non è mai lunga eppure le cassiere sono impercettibilmente più meditative del solito. I prodotti non sgomitano uno sull'altro, nei banchi ortofrutta: ciascuno si gode il meritato spazio vuoto al suo fianco, e pure il sedano è più libero - che soddisfazione festiva - di allargarsi comodo e di allungare le gambe, e pure di sbirciare voluttuoso - complice la momentanea scomparsa di buona parte delle melanzane - laggiù in fondo fino alle affascinanti zucchine, e di lanciare loro un indistinto occhiolino.
Poi mi piace per quel senso di tana per me che si prova entrando; per quell'idea di isola impermeabile al banale susseguirsi di giorni festivi e non festivi; per quell'immutabile essenza di produttività utile.
Ma soprattutto mi piace per gli sguardi di chi ci lavora, dentro ad un centro commerciale aperto di domenica. E non tanto perché quegli sguardi siano ontologicamente speciali, profondi o affascinanti. Quegli sguardi sono belli perché dietro alle lenti a contatto di chi li incrocia e li annusa riconoscendoli al primo colpo ci sono io. E anche io lavoro di domenica.
Mi spiace se in questo post chi non è abituato a lavorare nei festivi respirerà un fastidioso senso di casta impenetrabile. Mi spiace se chi non si riconosce in quegli sguardi e in quelle occhiaie arrivando qui si sentirà un po' come quando si era bambini e c'era sempre un odioso gruppetto di compagni di scuola che rispondeva no, non puoi giocare con noi alla nostra sorridente e scontata domanda di autoinvito.
Mi spiace ma, inevitabilmente, sarà un po' così.
Perché è vero che esiste una linea netta e tranquilla che divide chi la domenica lavora e chi la domenica si riposa; e anche quando io dismetto per un attimo i panni della pizzaiola domenicale e indosso quelli della cliente della coop, beh, passando gli articoli ordinatamente sul nastro trasportatore di cassa o sfiorando il braccio del commesso che ripone i formaggi, io li vedo e li riconosco, i tanti e diversi me che la sera prima sono tornati a casa presto ché oggi c'ho il turno, e hanno litigato con la fidanzata che voleva andare al mare che finalmente è venuto il caldo e la mattina quando la sveglia suona si alzano con l'amaro in bocca che solo le sigarette e i litigi prima di dormire lasciano così fastidioso e penetrante, i tanti me che non faticano a trovare parcheggio, che non si abbronzano alle grigliate, che amano i lunedì e tornano a casa col buio.
E allora, quando li sfioro e li guardo, anche senza parlare, senza distrarli, senza incrociare le nostre esistenze un istante più del dovuto, a me piace pensare che anche loro mi riconoscano, e trovino nel mio sguardo quel briciolo di fratellanza e comprensione e fierezza che faccia sembrare il loro singolo passo seguente (e solo quello, di più non lo immaginerei proprio) verso il frigo della carne un poco meno pesante e un poco più solenne.
Perché lavorare di domenica ha una sua nobiltà e chi lo fa dovrebbe camminare sempre con la testa alta e le spalle dritte, anche se si fa fatica, anche se la schiena duole dopo tanti cartoni di pelati trasportati da uno scaffale all'altro. Perché si è doppiamente utili agli altri: a quelli che hanno dimenticato di comprare il lievito, a quelli che non hanno voglia di preparare da mangiare, a quelli che hanno dormito fino a tardi e si svegliano di soprassalto, a quelli che hanno finito la benzina, a quelli che hanno invitati imprevisti.
E poi - e mi verrebbe da sussurrarglielo, alla cassiera che forse mi strizza l'occhio o magari è solo una mia suggestione - verrà, ne sono certa, un giorno in cui noi lavoratori domenicali e sbarazzini troveremo un impiego di quelli con il colletto di camicia e le scarpe chiuse e lucide, e allora la domenica staremo a letto fino a tardi e andremo alle grigliate e porteremo passeggini a spasso per piste ciclabili e montagne limitrofe. Verrà quel giorno e noi, puntualmente, ci dimenticheremo della farina per impastare torte di compleanno e allora finiremo lì, di nuovo, alla coop aperta la domenica, e sorrideremo vittoriosi senza trionfo, calpestando le stesse orme dei nuovi commessi con le occhiaie, e li seguiremo senza farci scoprire fino al banco ortofrutta e silenziosi ed emozionati ci fermeremo alle loro spalle e sarà allora che bisbiglieremo, piano piano, senza farci sentire quasi da nessuno, ehi, grazie.
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