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mercoledì 29 agosto 2012

C'era una volta - Storia (a puntate) di gelati e compleanni

(parte prima)

C'era una volta, diciamo approssimativamente nel millenovecentonovantadue, una confezione di gelato di quelle di polistirolo che conteneva quattro gusti. Ed erano i miei gusti: fiordilatte, nocciola, bacio e cioccolata. In rigorosa successione cromatica, ovvio.

C'era una volta - ed era quel periodo sdentato e sudato che apre i battenti all'infanzia più bella e più densamente colorata - una confezione di gelato a quattro gusti e i miei gusti erano quelli lì, fiordilatte, nocciola, bacio e cioccolata.

I gusti sono rimasti quelli per un periodo di tempo che nemmeno in una giornata intera riuscirei a srotolarlo come un metro da sarta intorno alla mia stanza. Sono rimasti quelli attraverso un'infinità di cadute, croste, frenate, inversioni del manubrio; sono restati, uno a fianco all'altro, seduti compiti nel divanetto a quattro di polistirolo, sopra a cumuli di disegni, canzoni, bigliettini e bisbigli; hanno visto fidanzati ed ecs, amici perdersi e amici trovarsi: lauree, diplomi, concorsi e classifiche. E quelli sempre lì, impassibili.

E poi, un bel giorno di nemmeno sei mesi fa, dopo una conversazione mi pare telefonica con qualcuno che abita lontano - era uno di quei primi giorni di primavera in cui ti pare proprio di poterla respirare, masticare, l'onnipotenza del rinnovamento - tutta presa da una qualche minuscola gioia didattica (un'alunna aveva forse azzeccato un participio sostantivato, o forse avrei solo tanto voluto che) e incurante del fatto che mi trovavo in una parte della città a me ignota, spezzettando davanti a me i pochi minuti liberi come bricioline per i passeri ho deciso di trovare la gelateria più vicina e - complice lo zelo di una passante - mi sono regalata il primo gelato della stagione. Me ne stavo lì, naso al bancone di vetro, con i quattro gusti di sempre nascosti dietro alle carte da giocare sul tavolo del mio pomeriggio primaverile: impazienti, ma sicuri; fermi, e diligenti.

E io ho detto fiordilatte e pistacchio.

L'ho detto solo per poter scrivere - qualche minuto dopo - un messaggio a quel qualcuno che abita lontano dicendo che mangiavo pistacchio e pensavo a lui. No, davvero: non avevo nessun altro motivo che non fosse quel patetico ed obsoleto bisogno di contatto.

Eppure - e bacio e nocciola sono ancora increduli, se ci pensano - finì che la risposta al messaggio arrivò ore dopo quando ormai tutto l'effetto benefico del sole primaverile era tramontato in una cena solitaria, ma il pistacchio, in sé, mi piacque. E assai. Si è accoccolato silente ed avido di affetto nel centimetro di divano che rimaneva libero, occupando giusto un mezzo sedere di polistirolo, senza voler disturbare. Ma il cioccolato era stanco, aveva caldo e non sembrava intenzionato e scendere a patti. Dal giorno dopo, semplicemente, non c'era più.



E i miei gusti diventavano, da quel pazzo e convulso pomeriggio primaverile, pistacchio fiordilatte bacio e nocciola.

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