Trovare parcheggio in zona è difficile, adesso; adesso che hanno varato il pianososta e inventato il novipark e dipinto di blu un sacco di righe che prima erano bianche. Però se arrivo per tempo e riesco ad infilarmi in via montesabotino alla prima botta senza confondere le traverse tutte uguali una con l'altra, magari parcheggio senza pagare e in cinque minuti di passo svelto io e il mio libro di versioni latine per il triennio siamo al civico richiesto.
E così ieri sono arrivata per tempo, ho trovato via montesabotino senza colpo ferire, ho chiuso la panda con un guizzo fiero e tra un battere e l'altro della borsa verde sul mio fianco destro sono sbucata - oplà - in via Emilia est.
E davanti a me, senza aspettarmelo, ho trovato la casa della Fra.
E' vero, cazzo, la Fra abitava proprio qui.
I cinque minuti buoni di passo svelto sono diventati seiemezzo, ieri, tra via Emilia est e Ciro Menotti (proprio lui, eh, non la strada intitolata a suo nome), e quei novanta secondi in più li ho riempiti tutti con l'odore e il sapore e pure un po' la consistenza della Fra, che è stata la mia più grande amica di scuola ed è passata attraverso la mia vita con quel modo tutto suo, silenzioso e sbuffante, di lasciare tracce indelebili usando solo la matita.
Bocca prensile - era uno soltanto dei mille nomi con cui la chiamavo; nomi di cui ricordo solo la punta dell'iceberg di un elenco infinito e in costante aggiornamento; nomi che si attaccavano al colore di una maglietta indossata un giorno in più del consueto (e fu così che a causa di una polo verde lei mi appioppò il celeberrimo benzinaia), nomi che storpiavano amori, che dimezzavano passioni, che ricamavano su vezzi e sbriciolavano il tempo della classe in infiniti e variopinti coriandoli di cui solo noi possedevamo il barattolo con l'apposita etichetta.
Però Bocca prensile era speciale, per me; e forse me ne sono resa conto del tutto solo ieri, in quel minuto e mezzo in più tra via Emilia est e Ciro Menotti (ipse).
Perché la bocca della Fra era sul serio prensile, come mi divertivo a definirla: mobilissima, elastica, enorme; sapeva accogliere mille forme e deformità. E forse stava nascosto proprio lì, in quella bocca prensile, il motivo del mio grande amore.
Della Fra ricordo essenzialmente due fotogrammi: la bocca - prensile, appunto - e quell'avambraccio destro che io con un colpo deciso andavo a piegare verso l'alto, quando infilavo la mia mano sinistra, impertinente, lungo il suo fianco e con il fare decisionista dei miei sedici anni inventavo un braccetto in tutta autonomia. Appoggiavo così tutto il mio peso su quell'avambraccio opportunamente ripiegato ed adattando il mio passo ballonzolante al suo camminare appuntito di ragazza magrissima dirigevo i nostri passi verso il teatro Storchi, fuori da scuola, in quell'ora magica tra l'ultima campanella e il primo compito a casa che tutto sembrava risolto e ogni cosa pareva nuova in mano nostra.
La Fra non aveva solo la bocca, mobile ed elastica. La Fra era un cubetto di plastilina colorata che prendeva le impronte delle mie dita con la calma di chi è nato per fare quel mestiere. La Fra accoglieva le forme imprevedibili che davo alle nostre passeggiate per il centro città e modellava il suo braccio per accogliere il mio. La Fra si lasciava impastare dalla mia furia allegra; sapeva far risuonare la scemenza di una mia battuta in una risata improvvisa e bellissima che non ho più trovato su nessun volto; ricalcava i contorni delle mie imitazioni, delle mie esagerazioni, dei miei entusiasmi e li rendeva disegni. Era il mio pongo personale, la Fra; e come tutti i pongo che si rispettano sapeva farsi cubetto, duro, consapevole, materiale, quando il turbinare frettoloso delle mie mani si perdeva dietro a qualche altro giocattolo e per un periodo di quell'interminabile pomeriggio di giochi che è stato il liceo lo lasciava colpevolmente in un angoletto della stanza.
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