In principio - sulla Saxo, per intenderci - c'è stato solo il rumore delle mie paure e dell'ansia di sorpassare in quinta; la musica del piede timoroso sui pedali; qualche parola di me a me stessa (essenzialmente entusiasmi, posso presumere); starnuti, colpi di tosse, battiti di ciglia (pochi), cigolio di freni e trintrin ritmato del portachiavi contro il cruscotto.
Quando, però, una certa simulata sicurezza si è fatta strada oltre lo steccato dei primi mesi di patente - ma sempre sulla Saxo, questo è sicuro - il mio impertinente bisogno di compagnia musicale si è materializzato nella forma di un ingombrante e barattoloso stereo a batterie. Audiocassette rigorosamente registrate ad hoc. Niente radio, ché l'antenna - mezza piegata dai numerosi colpi contro il muro scrostato della mia camera - non era abbastanza potente da adeguarsi al mezzo in (seppur lento) movimento. Ma tanto bastava, per farmi sentire al caldo, per farmi sentire abbracciata, colorata, (e soprattutto) cantante.
Avevo diciotto anni e un grappolo di mesi, e una sera ho guidato verso il Rockville con altre quattro persone caricate in macchina: una di queste, dal posto accanto al mio, tentava disperatamente di beccare la stazione radio desiderata sporgendo il barattolo-stereo fuori dal finestrino. Era agosto. Faceva caldo. Ridevamo scemamente felici.
L'arrivo della Punto ha aperto i cancelli ad una mia rinnovata guida borghese: il lettore cd era accessorio di serie. E hanno fatto così capolino le lunghe (quante canzoni, e senza mai dover accostare colle quattro frecce per girare il lato!) compilescions dai titoli esplicativo-umorali (urlato - spensierato - dolce - nuovo), la maneggevolmente morbida rotellina per alzare il volume a piacimento- l'importante era ricordarsi di ricondurla a livelli civili prima di spegnere l'auto, pena la sordità incazzata di mio padre, il mattino seguente - , la memorizzazione delle frequenze radio predilette (due per ciascun membro della famiglia). Tante canzoni sbraitate gesticolando. Tanti (presumo) sguardi divertiti di passanti e automobilisti.
Sulla Panda, invece, da qualche anno a questa parte, non devo più fare attenzione ad abbassare il volume prima di spegnere il motore: e non solo perché lo stereo non cessa di cantare insieme all'auto (va chiuso a parte, e se si parcheggia in una grande città come Roma o La Spezia, è sempre meglio toglierci anche il frontalino), ma anche perché l'auto è tutta mia, e al mattino non scende più mio padre ad inforcarla per battere strade buie e vuote alla volta della città.
Di musica, in macchina, ne ho ascoltata davvero tanta, e in tanti modi diversi. E proprio per questo non pensavo che sarebbe mai arrivato il giorno - questo giorno: oggi, ieri, e forse anche domani - in cui sarei salita in auto, avrei acceso la radio, e poi avrei approfittato del primo rettilineo veloce per tirare giù in fretta i finestrini e lasciare che il boato della corsa scavalcasse di prepotenza le note e i colpi di batteria, fino a ridurli ad un metallico filo incomprensibile.
Eppure ho scovato così il mio angolino di pace, dentro ai giorni agitati: nell'accarezzare orme musicali ridotte a brandelli - senza riconoscerne origine né fisionomia - avvoltolata dentro alla coperta dell'aria, calda, che romba dall'asfalto. Mi piace; mi rilassa.
Scomporre il noto in particelle così essenziali da perdere ogni etichetta, e poi seppellirsele dietro alle spalle, incuranti, a fine giornata. Anche azoto ed ossigeno hanno la loro musica, in fondo: me ne farò una cassetta.
Io però ci tengo a precisare che il viaggio della FESTADELLALIBERTA'DUEMILADODICI senza "motociclettadieciaccapi" non sarebbe stato lo stesso.
RispondiEliminalovvoti e leggoti sempre.
(cuore)
che potrei dire d'altro, se non citarti affermando "ma cosa mi tiri fuori dal cappello?!?". Controlovvoti con cuore.
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