Ed è così che il mio personalissimo elogio ha preso lentamente forma dentro - e ora anche fuori - di me.
Perché mi sono messa a pensare alle balle di fieno.
Mentre tentavo - ma non volevo per davvero - di sorpassare quel serpentone disarticolato, miriadi di piccole pagliuzze di fieno invadevano impertinenti il mio orizzonte visivo e quello degli altri avventurieri delle sei di mattina: impertinenti e invasive, leggiadre e ballerine. Come se non fosse necessario essere un cingolato metallico per far sentire il proprio peso; come se non servisse pesare per invadere un campo; come se grazia e violenza, finalmente a braccetto, salutassero insieme a me, e alle loro madri le balle per intero, questa nuova primavera che anche oggi, anche qualche giorno fa, anche nel 2017 si ostina, invadente e gentile, a rassicurare i nostri calendari e i nostri cuori.
Le balle di fieno, moderne eppure antiche: create con macchine rumorose e tecnologiche, ma fatte solo di paglia pungente.
A cosa servono, esattamente?
A far sorridere chi abita vicino ad un campo, e a fargli pensare che finalmente l'estate è vicina?
O a mantenere grandi quantità di foraggio per mucche al coperto e al compatto?
A nutrire bovini da macello, o a riscaldare la nostra anima, raggelata da un lungo inverno?
A voi la scelta: poesia o utilità, ma anche entrambe, ché come a volte accade, anche gli opposti vanno a braccetto, di contro ad ogni pregiudizio.
Nel frattempo, però, se una rondine non fa primavera, un camion di balle di fieno in tangenziale la fa eccome, e quindi, buona stagione più bella dell'anno a tutti voi.
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