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giovedì 3 maggio 2018

Un corpo solo (l'istante-colla: spiegazione)

Forse chi non lavora dentro una classe non lo sa, cosa sono gli istanti-colla, e non immagina quanto appiccichino; presume forse che i momenti più belli siano quando a fine anno suona l'ultima campana (istante invece amarissimo, che preferisco rimuovere ogni anno, per via della sua sabbiolina fastidiosa fatta di saluti troppo veloci, impastati, posticci, e di vuoto pneumatico che avanza), o quando gli alunni ti regalano una pianta per il tuo compleanno (trionfo sempre effimero, ché dietro l'angolo aspetta implacabile la verifica che coprirà quella stessa classe di insufficiente e pianti); credono forse nella vittoria sadica di una bocciatura meritata, o nel godimento egoistico di un alunno che vince un certamen.

No, gli istanti-colla non sono nulla di tutto questo.

Il mio istante-colla preferito è quando qualcuno bussa alla porta della classe, durante una lezione.

Ma come? - si stupirà qualcuno. Proprio tu che detesti essere interrotta? Proprio voi professori che vi arrabbiate coi bidelli perché entrano troppo spesso per comunicare comunicazioni già comunicate?
Ebbene, ci sbagliavamo. Mi sbagliavo io quando negli ultimi mesi guardavo con cipiglio infastidito la porta aprirsi di scatto dopo un bussare strascinato. E sbagliano tutti quelli che maledicono operatori scolastici, presidi, colleghi, segretari, lavascale; quelli che brontolano ad ogni bussare; quelli che addirittura rispediscono il malcapitato dietro alla porta che si è appena aperta, rimandando la comunicazione ad un altro docente, a quello dell'ora dopo, come se quell'istante fosse una malattia contagiosa o l'ultima fetta di una torta troppo cotta.

In realtà, un po' di verità giace anche dietro a quei malumori.
A inizio anno, quando la classe e il suo insegnante sono ancora pianeti che si scrutano da lontano, ruotando ciascuno intorno al proprio sole, ogni bussare è davvero un modo per voltare la testa - ancora una volta, forse per l'ultima - verso un universo diverso, che promette felicità gratuite, scivolose e remote: un messaggio dell'amato, l'orario del suo ultimo accesso, la quinta frase da tradurre per l'ora successiva, la chiusura di una palpebra, una nocca da sfiorare.
Toc - si sente alla porta. E il filo di quella debole comunicazione in corso scivola via tra fruscii di diari, chiusure implacabili di copertine, zip di cartelle. Avanti! - si sospira guardando il gruppo sfaldarsi in impercettibili stiramenti, sbadigli malcelati, patine grigie che coprono gli sguardi. Buongiorno, una variazione di orario per domani. E le menti corrono alla verifica che salterà, al pomeriggio da riorganizzare, al voto con cui mentire al papà oppressivo. Ci ritroveremo mai più, nel nostro punticino di galassia in comune? Se l'intervallo è vicino, e la forza centrifuga che esso esercita troppo potente, può essere che la vera lezione si fermi lì, ai margini di qualcosa che resta irrealizzato, penzoloni.
Se invece l'ora era iniziata da poco, si può fingere che la campanella sia appena suonata, ripetere quasi inavvertitamente qualche piccolo rito di ingresso - un silenzio, un passo, una scritta muta alla lavagna - e riassemblare così i pezzi di quel sistema solare traballante. Sperando che funzioni, che nessuno sia rimasto indietro, che tutti tornino lì.

Cosa può dunque esserci di "colloso" in uno strappo tanto invasivo? - vi starete chiedendo se avrete avuto la pazienza di arrivare fin qui, e nessuno avrà bussato alla vostra porta in tutto questo tempo, chiedendovi di firmare l'ultima circolare.

Di colloso c'è qualcosa eccome, ma dipende tutto da voi, da loro, e soprattutto dal tempo (di qualità) che avete passato insieme, in quell'aula, nei molti mesi di anno scolastico che separano le prime bussate dalle ultime, quelle dei mesi di aprile e maggio.
L'istante-colla per eccellenza, infatti, accade solo a primavera inoltrata: le finestre devono già essere aperte, le prime api sono già entrate per i primi giri di ricognizione tra il panico dei banchi, le foglie fuori dall'aula sono tornate verdi.
Toc - si sente tra un punto e una lettera maiuscola di una novella di Boccaccio. Avanti! - pronunci, felice perché il suono è arrivato proprio a fine paragrafo. Non ti arrabbi più perché ti hanno interrotta: fuori c'è il sole, domani è il tuo giorno libero e andrai in giro in bicicletta, i voti necessari - tre scritti e due orali - sono quasi tutti lì, nelle caselline del registro elettronico, il programma scende sereno verso Ariosto e tu sei addirittura in anticipo di una novella; qualcosa dentro di te - ed è questa la cosa più importante ma di cui tu sei meno cosciente - ti sa ormai placidamente accomodata alla guida di quei pianetini che, a spintoni e a terremoti, si sono lentamente riassestati intorno ad un'orbita comune.
La porta si apre con una lentezza insolita.
Eccolo: è lui, è l'istante-colla.

Il mio istante-colla preferito è tutto in quel silenzio che segue il mio Avanti!.
E' il mio preferito e non succede assolutamente niente. O quasi.
In quel silenzio che segue il mio Avanti! i quarantotto occhi si sollevano quieti dalle righe del manuale. Come risponderà Tancredi alle parole della figlia? - si chiede qualcuno, non per forza il più secchione, e la domanda rimbalza contro le mura del fondo d'aula; qualche sopracciglio si alza, dignitoso e pacato, per lasciare entrare un refolo di curiosità; ogni sedia, impercettibilmente, si accosta a quella di fianco; si crea come un piccolissimo anfiteatro: nessuno lo vede, solo le api che continuano a sorvolare dall'alto; il corpo di quell'aula (perché è questo che siamo diventati, in tutti questi mesi: un corpo soltanto) si stringe nelle spalle: è pronto a tendere la mano al nuovo venuto, ma - come spesso accade quando ci presentano un volto sconosciuto - fa al contempo un passettino indietro, per regolare inconsciamente la distanza del braccio allugato con quella dei piedi.
In quei pochi secondi di silenzio, quelli che seguono il mio Avanti!, è accaduto tutto questo niente.
Poi la faccia di una collega fa capolino dalla porta. Vieni pure, entra! Muove due passi in direzione della cattedra, sbatte il naso contro a quel muro di silenzio docile ed attento, la sorpresa le fa girare il capo sulla destra, verso di loro. Impalpabilmente il suo sguardo tocca quei visi, quel corpo. Per la prima volta giochi a guardare la classe con gli occhi di lei, con gli occhi della collega appena entrata. Dura solo pochi istanti, ed è solo così che puoi vederlo, fiera: il corpo unico che sono diventati. 
Ed è di nuovo silenzio. Disturbo? Ho interrotto qualcosa di importante? Se la collega è di quelle in gamba, si accorge, un po' come le api, che in effetti qualcosa è successo: ma non ha interrotto nulla, lei, semmai ha creato. (grazie) Scuoti la testa, rassicuri. No, figurati! Sorridi a lei, a loro, alle api che prima odiavi. Ti chini sulla cattedra per prendere la penna e firmare il foglio che la collega ti porge, e così facendo ti accorgi, finalmente, che la tua mano non è più solo tua, è la mano di quel corpo.
Tu sei parte di quel corpo: non ti hanno lasciato fuori, ti hanno serbato il posto più importante.

Il resto, quando la porta si richiude dietro la collega e Tancredi risponde a Ghismunda che presto il suo amato morirà, è routine e come tale si polverizza al sole dell'ultima campanella. 
Ma quando esci di scuola, alle 13, sei così piena di colla dappertutto - e sulle mani, in particolare; quelle mani che ora non sono più solo tue - che tutto ciò che incontri di bello sulla strada di casa ti si appiccica addosso, e ti riempie la panda, e il cuore, e il domani. 


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