È il 1994: ho dieci anni, è estate e la mia vita è perfetta.
Ci sono solo due macchie a rovinarne il candore: Baggio sta per sbagliare il rigore della prima finale mondiale di cui avrò memoria – ma questo io ancora non lo so – e vorrei fortissimamente una madre diversa. Ci penso da tempo. Osservo ammaliata le madri delle amiche più fortunate: portano i jeans, ascoltano musica pop, vanno a colloquio con le maestre, ridono con i papà davanti alla palestra e mangiano al Burgy il sabato sera. Io vorrei una madre così, che non dica crek al posto di crackers, che guidi l’auto e mi porti al cinema a vedere Scemo e più scemo.
È il 1994 e, come tutti i pomeriggi, sono appena stata a casa “della Vale”, l’amica del cuore. Ha un fratello rompiscatole con cui se le suona di santa ragione, è vero, ma Rita, sua madre, è praticamente perfetta. Sta in ufficio fino a tardi, pronuncia correttamente Take That e ogni sabato cambia pettinatura. Ride spesso, è estroversa. Assomiglia a mio padre.
All’improvviso ho un’illuminazione: corro trafelata per le scale, spalanco la porta e raggiungo mia madre al buio in camera da letto. Stavo pensando… - le dico - non sarebbe più giusto se il babbo sposasse la Rita e tu e il papà della Vale andaste a stare in un’altra casa?
È il 1994: ho dieci anni, una madre ipovedente, vittima di abusi e orfana di padre suicida, e una noncuranza lieve accompagna la mia sorda cattiveria.
Ancora non lo so, che Baggio sta per mandare in fumo Italia-Brasile, né che da mia madre erediterò la mano creativa, la passione didattica, una bicicletta e l’amore per gli ultimi della terra.
Nel 2025 lei continua a chiedermi se voglio dei crek, ma non conserva alcuna memoria di quell’episodio crudele: tuttavia io svolgo questo compito a casa per leggerlo pubblicamente e per chiederle, finalmente, scusa.
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