L'altro giorno sono tornata, per un pomeriggio, al doposcuola parrocchiale di cui avevo già parlato in passato e mi sono trovata a fronteggiare ben tre differenti compiti assegnati a tre distinti personaggi; tre diversi lavori che erano, in realtà, fatti della stessa pasta, perché si trattava, nello specifico, di tre parafrasi. Al XIII canto dell'Inferno, al primo canto dell'Iliade tradotto, alla poesia Guido, vorrei che tu Lapo ed io.
Non so se assegnare come compito a casa la redazione scritta di una parafrasi possa produrre effetti benefici sulle competenze tecniche dei soggetti; questo vorrei che me lo spiegassero lo Scorfano o la Noisette, che di sicuro si sono già posti questa domanda e l'hanno risolta brillantemente. Volevo solo comunicare alla blogosfera che, se anche la parafrasi possiede una profonda finalità educativa, di sicuro è uno dei compiti più dolorosi che abbia mai visto assegnare, e ancor di più se chi si trova a redigerla non è certo un Leopardi in erba e non mastica, non solo l'italiano antico, ma neppure quello moderno, con grande agilità.
Fatto sta che mi trovavo al fianco di un fanciullo dell'istituto per geometri che sudava e mugugnava e si dimenava e scoppiava come una pentola di fagioli per questo cavolo di canto di Dante, ed è arrivato addirittura a dire che peggio di quella roba aveva studiato solo Manzoni (!), ed ogni riga sembrava una frustata, ed ogni movimento di granello di polvere intorno a lui sembrava più interessante, ed ogni parola sul mondo diventava bugia (no, questo non centra, però anche un po' sì, comunque chi la riconosce vince l'affetto vitanaturaldurante di Tinni), bhe, dicevo, ogni parola spiegata e "parafrasata" sembrava lontana, polverosa, inattuale, assurda, e io mi chiedevo se davvero avevo voglia di insegnare per tutta la vita, e mi incazzavo con tutti i produttori e i registi sui film idilliaci sull'insegnamento che mi hanno sempre mostrato una realtà inesistente, e anche un po' con lo Scorfano e con i suoi Obafemi, e nel frattempo, tempo un secondo di mia distrazione, quello già si era voltato a guardare il cielo dalla finestra, o a parlare con il compagno, quello di Guido io vorrei... eccetera eccetera, insomma, io e lui ce ne stavamo lì, e ad un certo punto è venuta fuori la parola sdegnoso. "Sai cosa significa sdegnoso?", ho chiesto. "Sì prof. Che ha sdegno". "E cosa significa avere sdegno?" ..... "lo sdegno, sai che cos'è?" ......
"Una persona che si comporta in modo sdegnoso, come si comporta?".
E, qui, una luce di emozione negli occhi del nostro aspirante geometra: "MALE!".
Io sono scoppiata a ridere, perché dovevate vedere com'era fiero di aver saputo finalmente rispondere bene alla domanda. Però poi, tornando a casa, mi sono detta che in fondo non c'era poi così tanto da ridere.
E voi, che ne pensate?
Posso aggiungere sol un paio di piccole cose, al tuo post. La prima è che non si deve dimenticare che Obafemi è stato bocciato: cioè è andato incontro al destino che per alcuni è il peggiore che possa capitare a uno studente. Bocciato con i miei 4 (latino, italiano, storia), intendo, e con il mio voto. Insomma, gli idilli non esistono.
RispondiEliminaLa seconda è che le parafrasi non servono a nulla, secondo me. Però oggi si usa così: fatta la parafrasi, fatto il testo. Sarà, evidentemente, che mi sbaglio io.
dopo che per anni mi torturarono con riassunti, parafrasi, commenti e poesie studiate a memoria che mi fecero odiare manzoni, dante, omero e tanti altri dalla terza classe delle superiori ebbi un professore (... bresciano come lo scorfano, sarà un caso?) che pensò solo ad insegnarci il valore letterario e storico dei testi. ebbene, succedeva sempre che nelle sue classi di istituto tecnico industriale, almeno la metà degli studenti per la maturità sceglieva di portare italiano almeno come seconda materia d'esame. e anche oggi, dopo oltre venticinque anni non ho perso il piacere di leggere i classici
RispondiEliminaallora, secondo me la parafrasi serve, ma non sono così convinta che serva ancora la classica parafrasi scritta parola per parola (anche se, in realtà - ricordo le mie prime esperienze all'ITCG - fare una parafrasi letterali significa mettere in campo competenze di analisi logica non da poco): io, anche in I media, voglio una parafrasi orale/spiegazione del testo con tutti i riferimenti necessari. ad esempio, quando mi spiegano il Proemio dell'Iliade (che, sì, si beccano a memoria nella traduzione del Monti), devono sapermi dire perché il poeta dice "cantami", chi è la "diva", che "Pelìde" è un patronimico e cosa significa, che "funesto" ha a che fare coi funerali e perché, perché il lasciare i cadaveri sul campo era considerato "orrido pasto", e così via...
RispondiElimina...lo so, sono una rompiballe.
e comunque sì, non ti fidare degli sceneggiati TV, questo lavoro è tutt'altro che idilliaco...