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mercoledì 27 febbraio 2019

Edipi ridenti

Tutto comincia sempre dalla Panda. Ogni volta si parte dalla Panda e nella Panda e presto scriverò anche qualche riga sul suo essere finita a fare da correlativo oggettivo della mia anima, ma per adesso non andiamo fuori tema.
Sono sulla Panda, quindi, e quella parte di mattina che sempre più prepotente si riversa su Carpi al momento dell'ingresso delle scuole scorre fuori dai miei finestrini promettendo un'altra giornata di sole e batticuore.
Dentro, a bussare ritmicamente ai vetri cercando un pertugio di aria nuova, trombe, batterie e violini sempre uguali ricamano pensieri ogni giorno nuovi sulla stoffa di una testa bionda, confusa e spettinata.
E' un po' più tardi del solito e come sempre accade in questi casi mi accorgo di quanto i Carpigiani siano incapaci di affrontare le rotonde. Lenti, titubanti, indecisi: non sanno approfittare del riparo benefico del compagno di corsia, per scivolargli accanto sulla destra, anche senza vedere, solo fidandosi dell'Altro. Non sanno forzare il gioco, alzando dignitosi il tettuccio e anticipando di qualche millimetro il flusso impietoso della vita. Non sanno usare le rotatorie, insomma, e quelle grandi neanche un po'. Lunghe file si accumulano pertanto scattose ed ingombranti e tra i ricami pensierosi di quella stoffa bionda e spettinata si fa strada qualche strappo di nervosismo mattutino. 
Prenotare un computer; pinzare fotocopie; modificare una supplenza: ci sarà spazio per tutto questo, entro le 7.55, se questi pigri cittadini guarderanno ancora a lungo prima a destra e poi a sinistra, invece di trattenere il respiro e, semplicemente, buttarsi?

Ma è proprio in questi strappi e in questi sbuffi così poco tinnici che lo sguardo di quella testa bionda e spettinata, inquieto e stufo di sbirciare lentezze davanti a sé, cerca rifugio nello specchietto retrovisore, per un'ultima controllata alle occhiaie, fedeli e silenti compagne di ogni fatica. 
Le occhiaie ci sono: anche oggi, anche dopo otto ore di sonno, anche sotto al trucco. Sempre lì. Presto scriverò anche qualche riga sulla loro muta e paziente compagnia, al mio fianco, ormai trentennale, ma per adesso non andiamo fuori tema.
Le occhiaie ci sono; il mascara pure; il correttore sta facendo il suo sporco lavoro distraendo brufoli sotto pelle. Si può tornare a controllare a che punto sono i Carpigiani con i loro estenuanti dubbi attraversatori, ma prima guardiamo se per caso conosco qualcuno alla guida dell'auto giusto dietro di me. Ché tra le tante carezze che la Bassa ha profuso nell'adottarmi, c'è anche quella di regalare, ogni tanto, qualche grappolo di volti noti: al Lidl, in coda al semaforo, nello spogliatoio della piscina, facendomi sentire - come già raccontavo - un poco a casa.

Anche l'auto dietro di me è una panda: viola, per l'esattezza, ma a guidarla non sono colleghi o studenti conosciuti. Una madre sulla cinquantina - di cui ricordo solo capelli neri la cui tinta stava scivolando via, ma dolcemente - conduce il veicolo con aria allegra. Ride: strizza gli occhi, abbandona la testa all'indietro e poi la scuote come a far scendere ancora un poco quella tinta verso le punte. Un programma esilarante alla radio? Una telefonata in viva voce?
Basta che lo sguardo si muova un poco a destra per svelarlo: al suo fianco c'è il figlio, cartella in spalla, la cui voce complice mi arriva muta ma che, in tutta evidenza, ha appena pronunciato qualcosa di comico ed irrefrenabile. Ne è contagiato lui stesso, ed entrambi, reagendo appena allo scatto successivo della fila titubante, si beano di questa risata a contrappunto, che scivola dall'uno all'altro e si rimpolpa di energia ad ogni passaggio. 
Null'altro sembra essere necessario al loro duetto: non qualche minuto in più per pinzare fotocopie, non musiche sempre uguali da cd ormai esausti, non sole e non pioggia, nella loro giornata. Madre e figlio ridono e la loro panda viola è piena così.

Risultati immagini per panda viola

E allora non posso fare a meno di immaginarmelo, quel figlio, tra pochi scatti di coda, una volta superata la rotonda del giustospirito e imboccato il viale delle scuole: scendere dall'auto, voltare seccamente la faccia verso il marciapiede, masticare un saluto veloce, rialzare il cappuccio sul suo sguardo assonnato e raggiungere il branco, che lo aspetta per l'ultima sigaretta o il punteggio del fantacalcio. Un figlio come tanti, davanti a scuola, a cercare di dimenticare di essere figlio, annaspando con noncuranza nel mare dell'ignoto, aggrappato solo al suo cappuccio. Figli traballanti, figli soli, figli orgogliosi: solo figli senza madri vede Tinni tutti i giorni - mentre le madri, senza figli, aspettano timorose il loro turno ai ricevimenti mattutini - e se non fosse stato per quell'attimo, per quella panda viola, per quella esasperante lentezza carpigiana nell'attraversare le rotonde, avrei dimenticato che anche i figli, dentro le auto, ridono complici con le loro madri, ritagliandosi un angolo di allegria prima di indossare la maschera degli adolescenti in cappuccio e fantacalcio.

Anche i figli che lottano per non essere figli hanno diritto, poco prima di salire sul ring, ad una risata liberatoria che annulli i ruoli e nutra entrambi così come sono: una donna e un uomo, dentro allo stesso spazio stretto, all'alba di una mattina di sole e batticuore.

Ed è proprio in quell'istante che Tinni, che non è madre, chissà se mai lo sarà e da un po' di tempo è rimasta indietro anche sul programma dell'essere figlia, si sente scivolare addosso un'ombra di invidia calda, che pure non riesce ad intiepidire l'abitacolo di quella panda-anima. Invidia calda per un istante buono e assoluto di affetto ridente alla periferia della giornata, al margine delle lavagne e dei voti, un passo prima di varcare la soglia. Un attimo puro di risata senza scopo, per poi fingere di non averlo mai vissuto, mentre si corre verso il branco degli impegni e si cerca, come ogni mattina, di stare in piedi da soli.




Canali radio di barzellette, ne abbiamo?



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